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Civiltà e Natura: il legame perduto e la deriva dei Valori

Marcia Theophilo poetessa brasiliana, nata a Fortaleza e candidata al Nobel per la letteratura, antropologa e giornalista, si batte da sempre per la salvaguardia della foresta amazzonica, un ambiente naturale di circa tre milioni e seicentomila chilometri quadrati di territorio definiti da lei medesima “ Amazzonia respiro del mondo”, Passigli editori Firenze 2005.

Una candidatura per il Nobel alla letteratura che non soltanto per le caratteristiche poetiche e la bellezza linguistica dei suoi versi meriterebbe la poetessa, ma per la sua costante e tenace attenzione, per la sua instancabile volontà di denunciare, attraverso i suoi versi, “l’olocausto” arboreo che la società civile sta compiendo nei confronti dell’Amazzonia e del suo immenso patrimonio vegetale, animale e naturale.
Marcia Theophilo diviene voce universale del dolore di una foresta simbolo di tutta la natura terrestre e dal 2013 fino al 2020 sarà Testimonial Unesco per la biodiversità, descrivendola come una molteplicità di specie vegetali ed animali capaci di coabitare su uno stesso grande albero o uno stesso lembo di foresta.
L’estrema coerenza del suo verso e del suo messaggio all’umanità non è solo racchiusa in questa tenace testimonianza, ma dentro ad un bilinguismo che il grande poeta Mario Luzi ha definito dai due “versanti”, come dire che la sua capacità di tradurre dalla lingua portoghese alla lingua italiano, e viceversa, è pari al trasbordare in un oceano da parte a parte conservando intatto significato e significante di ogni elemento linguistico, la musicalità del verso e il ‘metro’ della parola.
Marcia si è trasferita in Italia nel 1971 in fuga da un Paese, come il Brasile di quegli anni, in cui non si poteva più né vivere, né studiare liberamente e democraticamente,, né tanto meno svolgere la professione di giornalista o scrittrice. Il suo impegno è continuato in Italia, lontano dalla sua patria , dalla sua terra d’origine e dalla sua gente.
Marcia Theophilo ha origini Indios ed è una antropologa studiosa della cultura india, delle tradizioni e dei costumi di una popolazione autoctona dell’ Amazzonia detentrice di un amore incondizionato e di un rapporto spirituale con la foresta che l’uomo moderno ha completamente interrotto ed obliato.
Le origini indios le hanno fornito il pathos e l’eros di un lessico quasi primordiale, onomatopeico, una capacità di trascrivere parole native solo della realtà sonora e verbale, mai trascritte prima, che rendono la musicalità del verso in entrambe le codifiche della lingua. La poetessa deriva la sua cultura da una oralità che suo padre e la nonna materna le trasmetteva di continuo, educando il suo orecchio alla prosodia e al suono e che era al contempo parola, suono, ritmo, significato e memoria.
Lo spazio circostante, in una cultura orale, è percepito come uno spazio concavo quasi una cassa di risonanza dove il suono si spande e ritorna. In questo spazio concavo Marcia Theophilo ha raccolto quasi un sapere enciclopedico di nomi onomatopeici riconducibili all’identità di specie arboree, vegetali, floreali e di frutti, alla presenza di specie animali ed insetti che popolano la foresta e gli spazi interstiziali tra il boschivo e lo spirituale, tra le “brume dei fiumi e degli oceani”, tra presente , passato e futuro di un popolo la cui memoria vuole germogliare e risorgere dalle ceneri.
Anche in questa volontà, di conservazione della identità linguistica e dell’appartenenza al popolo indios, Marcia ha mantenuto il suo impegno civile per denunciare l’arresa della foresta, un tempo invincibile e incorruttibile contro l’attuale indietreggiamento del verde e il restringimento dell’Amazzonia corrotta dall’attacco impietoso delle ruspe, degli incendi e degli stravolgimenti voluti dalla civiltà moderna.
La poesia di Marcia è a sostegno della Natura ; nel suo libro Nel nido dell’Amazzonia Interlinea Edizioni, Novara 2005, Marcia “canta” la foresta che è spirito, corpo, isola di carne in cui i bambini giaguaro vagano come animali e come cuccioli di un’infanzia abbandonata, quella della società brasiliana, che nessuno cura e che alcuni usurpano e profanano.
Natura ed umanità si intrecciano, diventano membra di uno stesso corpo, radici e arbusti di una stessa pianta, carne e albero, spirito umano e spirito arboreo, linfa e sangue di una stessa realtà. Se l’una è corrotta l’altra si corrompe, se una grida l’altra geme, se una è travolta l’altra riceve una profonda ferita. Dalla deriva di una civiltà che si è allontanata dall’amore per la Natura si è prodotta l’assenza dei valori umani, l’incapacità di ascoltare il linguaggio sonoro e non concettuale del mondo vegetale, quella armonia che si rifletteva originariamente nell’intimo dell’animo umano, quella sensibilità primordiale al quale alveo naturale appartengono gli esseri viventi.
La poesia di Marcia è simile al suono di un flauto magico che tutto armonizza, persino la sua voce è simile a quel flauto che armonizza gli accenti, i toni ed i ritmi, simile ad un canto indios di straordinaria bellezza.
Questa poesia dovrebbe appartenere all’infanzia ; i giovani dovrebbero riappropriarsi di quella primordiale vicinanza alla Natura per ricondurre il filo della narrazione tra filogenesi ed ontogenesi e ritrovare il senso dell’appartenenza, riconoscere nella biodiversità il punto d’incontro formidabile che ha permesso lo sviluppo dell’intelligenza e il contatto magnifico sensuale e spirituale tra l’ essere umano e il mondo.
Bisognerebbe leggerla nelle scuole la poesia di Marcia Theophilo, fare in modo che tutti i giovani convergano in quel centro magnifico che è la sonorità del mondo poetico, quel mondo in cui risuonano magicamente le parole e le metafore e attraverso il “canto” educare al rispetto e alla salvaguardia del nostro pianeta; attraverso la biodiversità constatare l’importanza dell’altro e del diverso ed imparare a coabitare il pianeta rendendo sostenibile lo sviluppo e il progresso umano senza interferire con l’acqua, il suolo, l’aria e tutti esseri viventi.

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