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Ecco come Silvio Berlusconi spiazza Il Foglio del Nazareno

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi l’ha fatta proprio grossa agli amici del Foglio, che tanto si spendono per conciliare il vecchio “amor nostro”, come Andrea Marcenaro ha a lungo chiamato affettuosamente l’ex presidente del Consiglio nei suoi corsivi di prima pagina, e Matteo Renzi, il “royal baby” descritto dal fondatore dello stesso Foglio, Giuliano Ferrara, vedendo in lui il prosecutore della svolta impressa dall’ex Cavaliere nel 1994 alla politica italiana.

Proprio mentre il successore di Ferrara alla direzione, Claudio Cerasa, scriveva un corposo editoriale per inserire l’operazione di sostegno ad Alfio Marchini come candidato a sindaco di Roma nel “Patto del Nazareno che non si vede” ma si avverte nello “spirito”, e auspicava che l’ex Cavaliere si sganciasse in qualche modo dal fronte referendario del no alla riforma costituzionale, suggerendogli che “l’astensione è liberazione”, Berlusconi spediva una lettera agli “amici” coordinatori di Forza Italia per confermare e motivare la partecipazione a quel fronte. Convinto, l’ex cavaliere, secondo istruzioni che ha preannunciato alla periferia del partito con una “circolare”, di riuscire a non confondersi con gli altri no alla riforma giunti da sinistra e da destra.

“Risulta e ci risulta particolarmente difficile immaginare – ha scritto invece il direttore fogliante – che Berlusconi faccia campagna elettorale per il no insieme con i compagni di Magistratura Democratica”. E via poi a spiegare, in dottrina e in politica, che “il destino di un centrodestra di governo è più vicino al pensiero renziano che a quello salviniano”. Per cui il “laboratorio romano” allestito con Marchini, contro Giorgia Meloni e il segretario della Lega, “potrebbe diventare più di una semplice e casuale svolta stracittadina”. Che è poi ciò che sostengono, ma contro Berlusconi, anche la sorella dei Fratelli d’Italia nelle sue scatenate e scatenanti interviste e il suo sponsor nazionale Matteo Salvini: nazionale, perché a Roma la Lega è quella che è, ben poca cosa, anche se ha appena aperto una sede a due passi da Piazza del Popolo. Che è la stessa dove in un raduno proprio con la Meloni sventolava uno striscione nero dal Pincio che dava Berlusconi per “politicamente defunto”.

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Nel confermare e motivare la partecipazione, sia pur distinta, sua e del suo partito, al fronte referendario del no alla riforma costituzionale appena approvata dalle Camere con ben sei passaggi parlamentari, Berlusconi ha scritto agli “amici” coordinatori che essa “limita gli spazi di democrazia senza rendere il sistema istituzionale né più efficiente né più costoso”. Ma forse voleva scrivere “meno costoso”. Gli è scappato un più di troppo, facile comunque a considerarlo per quello che è: una svista incresciosa.

E’ una riforma – ha continuato Berlusconi – “cucita su misura per le esigenze del Pd, tanto più grave perché approvata da una maggioranza parlamentare derivante da una legge elettorale dichiarata incostituzionale”, come sostengono anche gli avversari e critici di sinistra. Una riforma “sbagliata e illiberale”, ai cui primi passaggi parlamentari però, nonostante i difetti derivanti alle Camere dalla bocciatura della vecchia legge elettorale da parte della Corte competente, Berlusconi e il suo partito hanno contribuito.

L’ex presidente del Consiglio poi si è sfilato, è vero, per la violazione del famoso “Patto del Nazareno” compiuta da Renzi quando ha voluto scegliere Sergio Mattarella senza il consenso dell’altro contraente per la successione a Giorgio Napolitano al Quirinale. Ma a questo sganciamento è seguita una serie di scissioni di Forza Italia che hanno garantito al presidente del Consiglio i numeri della maggioranza per portare a termine l’impresa. Non vedo, francamente, come si possa aggiungere una contestazione di legittimità ad una di tipo politico, almeno sino a quando non si cambierà la Costituzione anche nell’articolo 67: quello che non vincola il parlamentare ad un “mandato”.

Quell’articolo, peraltro, neppure Berlusconi tentò di modificarlo nella riforma approvata alla fine del 2005 dalla maggioranza di centrodestra e bocciata poi dal referendum del 25-26 giugno 2006. Che si svolse due mesi dopo le elezioni politiche perse dall’allora Cavaliere per un pugno di voti, inutilmente contestati, a vantaggio di Romano Prodi e della sua nuova edizione dell’Ulivo. Edizione chiamata Unione e diventata in meno di due anni Disunione, con tanto di crisi di governo e di elezioni anticipate vinte nel 2008 dal centrodestra, prima della sua dissoluzione in uno scontro rovinoso fra Berlusconi e Gianfranco Fini.

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Dopo tutto quello che si sono fatti e si sono detti, e i danni che hanno procurato a loro e allo schieramento di cui in pratica difendevano o si contendevano la leadership, a due passi l’uno dell’altro, a Montecitorio Gianfranco Fini e a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi, tornato in Parlamento diversamente dall’altro nel 2013, e per giunta sfiorando la vittoria, ma decadendone dopo pochi mesi per una discussa, discutibile ma definitiva condanna per frode fiscale, è curioso vederli ora schierati dalla stessa parte. A Roma sostengono entrambi la candidatura di Alfio Marchini a sindaco, contro la destra al quadrato rappresentata dalla candidata Giorgia Meloni e dallo sponsor Matteo Salvini. E in tutta Italia partecipano al variegato fronte del no referendario d’autunno alla riforma costituzionale di Matteo Renzi.

Benedetti uomini, molti elettori vi chiederanno, fra quelli che vi votano ancora, come nel caso di Silvio Berlusconi, che pur non candidabile continua a raccogliere consensi per la sua Forza Italia, e quelli che non vi hanno più votato e si sono ritirati con l’astensione sull’Aventino, o hanno trovato altre case o rifugi politici, perché mai non ci avete pensato prima a stendervi una mano. Che Fini ha appena detto al Corriere della Sera di essere pronto a stringere, sia pure per “educazione”.

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