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Ken Livingstone e l’antisemitismo di sinistra

A proposito del capo d’accusa che ha portato in carcere il sindaco di Lodi: più che un articolo del codice penale, “Turbata libertà degli incanti” sembra un verso di Giuseppe Ungaretti.

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Hanno suscitato scalpore le affermazioni di Ken Livingstone, ex sindaco di Londra e esponente di spicco del Labour (ora sospeso dal partito), sul protosionismo di Hitler. Non c’è da stupirsi. Si tratta dell’ennesimo esempio di quell’antisemitismo di sinistra che August Bebel, in un rapporto al congresso di Colonia della socialdemocrazia tedesca nel 1893, definì il “socialismo degli imbecilli”. Quest’ultimo rispecchiò anche la cecità di una parte determinante del movimento operaio di fronte alla cittadinanza moderna e al libero mercato, a cui era legata l’emancipazione giuridica degli ebrei. Purtroppo, la storia del “socialismo degli imbecilli” non si è conclusa nella voragine dell’Olocausto, così come i meccanismi della falsificazione non si sono arrestati con la fabbricazione dei “Protocolli dei savi anziani di Sion”. Al contrario, essi si sono rinnovati incessantemente fino ai nostri giorni attraverso la manipolazione della memoria e della verità storica.

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Molti giornali lo hanno citato per alludere al rischio di una deriva antiebraica che corre l’Europa. Parlo del celeberrimo “caso Dreyfus”. L’ho riassunto a mio figlio così. Émile Zola pubblica su “L’Aurore” il 13 gennaio 1898 un articolo, “J’Accuse”. Lo scritto sposta i rapporti di forza tra i sostenitori dell’innocenza di Alfred Dreyfus, il capitano d’artiglieria ebreo accusato tre anni prima di intelligenza con la Germania, e quanti (la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica) erano certi della sua colpevolezza. Nei mesi in cui Dreyfus viene imprigionato e processato, “La France juive” di Édouard Drumont (1886) aveva superato le cento ristampe. In un’epoca in cui lo scientismo positivista si mescolava allo spiritismo e al satanismo, Drumont “lo utilizza in chiave antigiudaica per spiegare come il tradimento sia connaturato all’ebreo” (Marcello Flores, “Traditori. Una storia politica e culturale”, il Mulino, 2015). Per il fondatore della “Libre Parole”, l’ebreo non appartiene al nemico, non appartiene a nessuno: è “errante” e si dissimula nelle pieghe della società. Poiché il tradimento presuppone la rottura di una relazione di fiducia, per Drumont i traditori più veri non sono gli ebrei, i quali sono piuttosto spie che infettano con la loro presenza il corpo sociale, ma i loro amici e sostenitori, i “judaïsant”. Il consenso riscosso da queste tesi conferma la verità scomoda denunciata da Mathieu Dreyfus, ovvero che l’incriminazione di suo fratello era ascrivibile al virulento antisemitismo che allignava tra i suoi concittadini. Solo nel 1898 che il mondo della cultura, anche su spinta di politici come Jean Jaurès, si decide a contrastare la marea patriottarda che stava sommergendo la Francia. Insieme a Zola, allo storico Gabriel Monod e al sociologo Émile Durkheim, i primi a scendere in campo saranno gli scienziati, a partire dal direttore dell’Istituto Pasteur Émile Duclaux.

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