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Marco Pannella, le intuizioni e le follie

Marco Pannella

Nessun italiano può dire d’aver condiviso tutte le battaglie di Giacinto Pannella detto Marco. Ma tutti gli italiani possono dire d’avere condiviso, durante il suo lungo pellegrinare in politica, almeno una delle tante e controverse sfide che lo storico leader dei radicali proponeva col candore dei suoi grandi occhi blu e l’irriverenza della chioma bianca, ormai, che lo rendeva un po’ guru e un po’ guerriero. Il guerriero della non violenza, pronto a sacrificare non la vita degli altri, ma la sua per obiettivi spesso impopolari. Sempre, però, ispirati dalla buona fede e da principi, come succede con quei navigatori solitari e controcorrente che fanno dell’altrui incomprensione, o addirittura indignazione, la forza per farsi ancor più valere e contestare.

E’ impossibile, allora, e forse anche ingiusto, fare la classifica, adesso che Marco Pannella non c’è più, delle sue intuizioni e delle sue follie. Stabilire, per esempio, se l’impegno nazionale per i diritti civili, a cominciare dal divorzio nel 1974, meriti d’essere ricordato prima delle mobilitazioni internazionali per la fame nel mondo o contro la pena di morte, bandiere di un italiano fuori dal comune che poi sventolavano nell’universo. Oppure se il rispetto che s’è guadagnato da tutti i Papi – proprio lui, l’anti-clericale – dipendesse da un senso di misericordia che Pannella dimostrava per gli ultimi, fossero essi carcerati o emarginati, i poveri e non i ricchi, Caino anziché Abele.

O decidere, ancora, se l’uso e l’abuso che ha fatto dei referendum in un’Italia troppo sottomessa ai partiti per poter ascoltare la voce della gente, siano stati più importanti delle iniziative contro un potere che mai servì. E di cui mai si è servito. Un combattente delle cause perse, e non solo né sempre di quelle giuste, morto senza incarichi politici o istituzionali, nonostante l’intero Palazzo ora lo santifichi.

Ma se “Marco” viene già rivalutato nonostante i mal di testa causati ai suoi tardivi elogiatori, è perché appare, paradossalmente, come un cittadino normale e perciò esemplare per una classe politica che così poco gli somiglia. “Pannella odora di bucato”, diceva Montanelli per rimarcare la probità di un leader discusso solo per quello che diceva e faceva, liberamente. E molto ha fatto infuriare gli italiani: in pochi, alla fine, votavano per lui. Ma oggi tutti hanno il diritto al rimpianto. Perché sanno d’aver perso un rompiscatole che talvolta ha dimostrato la visione di uno scomodo profeta in patria.

Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com

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