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Vi racconto cosa avverrà in caso di vittoria del No al referendum sulla Costituzione

Mattarella

Pur preceduto da altre sortite polemiche, e notoriamente deluso dalla lunga esperienza politica vissuta con Silvio Berlusconi, tanto da avere volontariamente rinunciato nelle ultime elezioni a ricandidarsi, l’ex presidente del Senato Marcello Pera ha voluto schierarsi sul fronte referendario del sì alla riforma costituzionale con un attacco di sferzante durezza all’ex presidente del Consiglio. Che egli ha accusato, fra l’altro, di avere “costretto” i parlamentari di Forza Italia al “ruolo immeritato di stracciaroli” cambiando opinione “per ragioni misteriose” su un testo di riforma pur “approvato e votato” in più passaggi alla Camera e al Senato.

Ma poi queste “ragioni misteriose” lo stesso Pera, in un lungo articolo affidato a Italia Oggi, le ha indicate nel proposito, d’altronde dichiarato dallo stesso Berlusconi, di usare una sconfitta referendaria di Renzi per mandarlo a casa. “Come se potesse succedergli – ha scritto l’ex presidente del Senato – il governo Salvini-Merloni-Berlusconi o Brunetta”, e non uno diretto chissà da chi ma sicuramente destinato a leggere in Parlamento “tre cartelle” spedite da Bruxelles, fra una prevedibile riesplosione della crisi finanziaria e delle speculazioni contro i titoli del debito pubblico italiano. Tre cartelle per segnare la “sovranità perduta”, avviare “code al bankomat”, come hanno già sperimentato i greci, e salutare l’arrivo a Roma della “troika”. Cioè il commissariamento dell’Italia.

A questo punto, senza perdere tempo a dolersi delle “pecche” che indubbiamente non mancano alla riforma costituzionale, considerandole evidentemente rimediabili con altri interventi o con un’accorta applicazione delle nuove norme, il professor Pera ha voluto esprimere “lode al lealismo politico e alla lungimiranza del gruppo Ala”, fondato dal suo corregionale Denis Verdini, per avere compreso che quello di Berlusconi “è il delirio di chi non ha più il polso della situazione e ha perduto la percezione del baratro che anche per colpa sua ci potrebbe inghiottire”. Parole forti, fortissime. Che difficilmente l’ex presidente del Consiglio potrà liquidare attribuendole ai “capricci” di qualche vecchio e logorato “professionista della politica”, come lui ama spesso definire chi non si trova più d’accordo con lui.

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Un altro sì per forza maggiore, al di là di una riforma per certi aspetti “ modesta e maldestra”, ma pur sempre “una svolta” dopo troppi tentativi falliti anche per colpa di una sinistra a lungo conservatrice sul terreno istituzionale, è stato espresso da Massimo Cacciari. Il cui vigore ha fatto vacillare la tentazione per il no del suo intervistatore: l’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro, reduce da un incontro meno imbarazzato col presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, il più prestigioso forse dei giuristi schierati sul fronte appunto del no.

Cacciari è sembrato tuttavia meno pessimista di Pera sugli effetti di un’eventuale vittoria referendaria del no. Egli ha mostrato di credere che l’Europa possa dare alla politica italiana il tempo per un altro tentativo di recupero della situazione. L’ex presidente del Senato ha immaginato, in particolare, un Renzi che “va da Mattarella” per dimettersi ma anche per “chiedere e ottenere elezioni anticipate”. Che gli consentirebbero, fra l’altro, di “resettare” il Pd “purgandolo” e lanciare una campagna elettorale “all’insegna del sì o no al cambiamento”: una specie insomma di rivincita sul referendum appena perso. Ma – mi permetto di chiedere a Cacciari – con quali possibilità di governare poi in un Parlamento che rimarrebbe composto di due Camere con le stesse funzioni, elette tuttavia con due sistemi diversi – uno provvisto del premio di maggioranza e l’altro no – e destinate pertanto a non convergere mai? Via, professore. Il primo a mettersi di traverso su una strada così avventurosa sarebbe il presidente della Repubblica, anche a costo di rompere con chi, come Renzi, ha fatto tanto per garantirne l’arrivo al Quirinale. Anche a costo di rompere il famoso patto del Nazareno con Silvio Berlusconi, con tutte le complicazioni che gli sono derivate. E tutto ciò, ammesso e non concesso che il presidente del Consiglio e segretario del Pd davvero voglia o possa passare dall’annuncio di un ritorno a casa alla richiesta di rimanere al suo posto per tentare una rivincita elettorale. No, la previsione non regge.

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In caso di sconfitta referendaria del presidente del Consiglio, le urgenze del capo dello Stato penso che saranno per forza di cose diverse da quelle immaginate da Cacciari per un Renzi incaponito. Saranno l’approvazione della nuova legge finanziaria, o come altro preferiscono chiamarla i tecnici, e una modifica o della legge elettorale della Camera o di quella vecchia applicabile al Senato, con i tagli apportati dalla Corte Costituzionale, per cercare di rendere il più compatibili, o il meno incompatibili possibile i due rami del Parlamento sopravvissuti al referendum e comunque destinati ad essere rinnovati al più tardi nel 2018.

E tutto sarebbe destinato ad essere cercato e realizzato più nel quadro pessimistico previsto da Pera, tra mercati ribollenti di speculazione, che in quello ottimistico, diciamo così, di Cacciari. Che poi, per le tensioni politiche che comunque produrrebbe, sarebbe di un ottimismo molto relativo.

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