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Il generale Soleimani e la battaglia per Fallujah

È iniziata l’operazione militare per riprendere il controllo di Fallujah, la città nella provincia di al Anbar, una delle più importanti dell’Iraq. Il primo ministro iracheno, lo sciita al Abadi, con un discorso trasmesso alla televisione ha fatto sapere che le forze armate irachene «si stanno avvicinando al momento della grande vittoria contro lo Stato Islamico».

Fonti di intelligence hanno precisato che gli scontri, in corso a Saqlawiya, vedono impiegati l’esercito regolare, forze antiterrorismo, milizie sciite e tribali, supportate da aerei, elicotteri ed artiglieria governativi.

L’esercito iracheno sta invitando i civili ad abbandonare la città il prima possibile. Nella zona vivono ancora tra le 60 e le 90 mila persone. Lasciare la città però non è facile. Gli uomini del Califfato ne controllano i confini, impedendo di fatto l’uscita dei civili. Liberare Fallujah significherebbe mettere in crisi l’intero Califfato. Generalmente però, molti sunniti preferiscono trattare con Daesh, piuttosto che fidarsi della coalizione formata da Washington, Baghdad e Tehran.

Anche gli ulema sunniti criticano apertamente tutta l’operazione dell’esercito regolare, definendola «un’aggressione segnata da una volontà di vendetta delle forze del male». Ritengono infatti che l’offensiva dell’esercito porterà ad una «finta vittoria a discapito delle vite dei civili con la scusa di combattere il terrorismo».

Per mesi il Pentagono si è opposto all’intervento delle milizie sciite contro Daesh in Iraq, tra le quali spiccano quelle comandate dal generale iraniano Abu Mahdi al Muhandis, a capo del Popular Mobilization Army, nominato da Washington «Specially Designated Global Terrorist». Anche la Badr Organization, guidata da Hadi Al-Amiri non ha mai ricevuto l’ endorsement da parte degli Usa.

Ma con l’inizio dell’operazione per liberare Fallujah, l’intervento delle milizie sciite non è più un tabù per gli Stati Uniti. Infatti, anche se al Abadi ha annunciato il dispiegamento sul terreno di 35 mila soldati dell’esercito iracheno, ad oggi tutte questi uomini non stanno partecipando alle operazioni, rendendo necessario l’intervento di forze esterne.

Un contributo significativo sta arrivando proprio dalle milizie sciite del Popular Mobilization Army e da quelle del Badr Organization. Entrambe operano sotto la guida del generale Qassem Soleimani, capo delle forze iraniane in Siria e Iraq, che grazie al supporto delle forze aeree Usa sta tentando di conquistare la città.

Fonti militari suggeriscono che il generale Soleimani sia arrivato a Fallujah dal nord della Siria, dove comanda le forze iraniane e siriane oltre a quelle di Hezbollah. In Siria il generale era impegnato ad Aleppo, dove operava con il supporto dell’esercito russo.

La scelta degli Stati Uniti, mostra quanto sia centrale per l’amministrazione Obama il ruolo giocato dall’Iran nella regione. Questo atteggiamento mostra però tutte le debolezze dell’attuale presidente. Le tensioni con Israele sono tangibili ed evidenti, mentre la Casa Bianca tratta quasi con noncuranza gli europei. Washington non ha idea di come stabilizzare la Siria, tantomeno riunificarla. Si può quindi desumere che il paese continuerà a essere il teatro di una guerra per procura tra Arabia Saudita e Qatar da un lato e Iran ed Hezbollah dall’altro, sempre che Obama non decida di affidarsi completamente a quest’ultimi. Ma a quale prezzo?

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