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Ecco come il Foglio verdiniano cerca di convertire Berlusconi al renzismo doc

Denis Verdini e Giuliano Ferrara

Il Foglio – il solito Foglio, si sarebbe tentati di dire, visto il forte impegno col quale cerca da tempo di smuovere il recalcitrante Silvio Berlusconi, per molti anni presentato ai lettori come “l’amor nostro”, dal fronte referendario del no, e più in generale dalla demonizzazione di Matteo Renzi come un mezzo aspirante a dittatore – ha appena posto all’ex Cavaliere una domanda particolarmente galeotta in questa campagna elettorale per le amministrative.

Se al ballottaggio capitolino con la grillina Virginia Raggi, rimasta in testa nei sondaggi, dovesse arrivare non Alfio Marchini, il corridore appoggiato da Forza Italia dopo il ritiro formalmente spontaneo del povero Guido Bertolaso, e neppure Giorgia Meloni, la “capricciosa” sorella dei Fratelli d’Italia che Berlusconi si è dichiarato disposto, nel salotto televisivo di Bruno Vespa, a sostenere in uno scontro con la candidata delle 5 Stelle, ma l’aspirante sindaco del Pd, il renziano Roberto Giachetti, l’ex presidente del Consiglio con chi si schiererebbe? Ecco il quesito posto con la ciliegina rossa al posto della firma da Claudio Cerasa, il successore scelto dallo stesso Giuliano Ferrara alla direzione del Foglio.

Sarebbe naturalmente impossibile, visto quello che Berlusconi ha detto e dice dei grillini, spesso paragonati ai nazisti dei nostri tempi, un aiuto alla Raggi, che pure avrebbe avuto, senza le 5 Stelle, tutti i requisiti fisici, oltre alle referenze della sua vecchia pratica d’avvocato nello studio legale dell’amicissimo Cesare Previsti, per essere arruolata nel cast delle candidate alla Camera nelle liste di Forza Italia. Per essere bella, la Raggi lo è di certo. Per essere pronta nelle risposte, altrettanto. Per essere astuta, pure, a dispetto dei guai che le combinano i colleghi di partito, o di movimento, con il modo loro, assai strano, di sostenerne la candidatura. Anche la strampalata proposta della Raggi di fare spostare i romani da un quartiere all’altro su una teleferica, pur senza scarponi e scii, essendo la neve poco di casa nella Capitale, a parte i capricci avuti a suo tempo per rovinare la carriera politica dell’allora sindaco di destra Gianni Alemanno, potrebbe passare in una città per tanti anni condannata, per esempio, alle tangenziali che scorrono con le loro auto davanti alle finestre delle case situate nei primi piani dei fabbricati.

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Scartata per ragioni, diciamo così, ideologiche l’ipotesi di un appoggio alla candidata di un movimento così estremista e singolare come quello del fondatore e tuttora garante Beppe Grillo, comico nelle ore pari e politico in quelle dispari, a Berlusconi non resterebbe altra scelta che quella di appoggiare e fare appoggiare dai suoi il renziano Giachetti, secondo i gusti, i calcoli, le previsioni, le valutazioni – chiamatele come volete – del direttore del Foglio. Che ne sarebbe felice anche per l’effetto indotto di un ritorno, per quanto a livello locale, che è pur sempre un livello importante, trattandosi del Campidoglio, con quelle poche centinaia di metri che lo separano da Palazzo Chigi, al famoso e mai sufficientemente rimpianto “Patto del Nazareno” stretto fra Renzi e Berlusconi all’inizio del 2014. Che, pur riguardando “solo” il percorso e il contenuto delle riforme della Costituzione e della legge elettorale, fu propedeutico all’operazione di sfratto di Enrico Letta dalla guida del governo delle ex larghe intese, sopravvissuto grazie al “tradimento” di Angelino Alfano ed amici al passaggio di Berlusconi all’opposizione per la sua decadenza da senatore, dopo la condanna definitiva per frode fiscale.

Il povero Letta, come si ricorderà, sorpreso dagli eventi nel sonno, o quasi, al quale si era abbandonato per l’invito pubblicamente rivoltogli da Renzi a “stare sereno”, non gradì per niente. E consegnò assai di malavoglia, davanti alle telecamere, la campanella d’argento del Consiglio dei Ministri al giovane collega fiorentino di partito, ancora fresco di elezione a segretario del Pd.

Seguì un anno e poco più di amorosi sensi fra Renzi e Berlusconi, o viceversa, con telefonate, riunioni e incontri conviviali sempre mediati da Denis Verdini, che ormai contendeva al povero Gianni Letta il ruolo quasi storico di braccio destro dell’ex Cavaliere. Un Verdini, peraltro socio di minoranza del Foglio, tanto affezionatosi al suo ruolo che quando Berlusconi, spiazzato dalla decisione di Renzi di mandare al Quirinale Sergio Mattarella senza il suo consenso, ruppe il patto e non volle più saperne di riforme o d’altro con Renzi, protestò a gran voce. E cominciò a lavorare giorno dopo giorno, notte dopo notte, per sganciarsi da Forza Italia e organizzare propri gruppi parlamentari per offrire a Renzi un’ala, sotto tutti i punti di vista, sotto cui proteggersi nei momenti di difficoltà parlamentare, specie al Senato. Dove Verdini dispone di un seggio e fiuta, col naso che ha, tutti i pericoli da cui proteggere il governo.

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L’operazione che ora, quasi sulla falsariga di Verdini, che in questa campagna elettorale si è peraltro schierato con i candidati del Pd a sindaco di importanti città come Roma, Napoli, Cosenza e Grosseto, il direttore del Foglio si aspetta o comunque suggerisce all’ancora “amor nostro” Berlusconi, cioè l’appoggio al renziano Giachetti in caso di ballottaggio capitolino con la grillina Raggi, avrebbe ad occhio e croce una grossa complicazione.

La già esangue Forza Italia, dai cui gruppi parlamentari sono già usciti in tanti, non solo quelli al seguito di Verdini, sarebbe sottoposta ad un altro terremoto. E forse anche ad altre perdite, o crolli, perché i nostalgici del Patto del Nazareno sono andati via via diminuendo. E sono parecchi, non la sola e solita Daniela Santanché, la “Santa”, come lei preferisce chiamarsi in un’autobiografia ancora fresca di stampa, a preferire un’alleanza di centrodestra a guida leghista piuttosto che un ritorno alle larghe intese con Renzi. E ciò anche se, a dire il vero, Berlusconi in persona ha prudentemente anticipato, come ha ricordato su Formiche.net Paola Sacchi, che in caso di sconfitta referendaria di Renzi sulla riforma costituzionale, bisognerebbe prepararsi più ad un governo di larghe intese che alle elezioni anticipate. Con lo stesso Renzi, a dispetto della promessa di tornare a casa, o con un altro del Pd sembra interessare poco all’ex Cavaliere.

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