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Perché Merola a Bologna mi ha deluso con la firma anti Jobs Act

Voto a Bologna. Ho dichiarato pubblicamente che avrei votato per Virginio Merola, solo al secondo turno, se mai vi fosse arrivato con uno sfidante “grillino’’ o “leghista’’. Ho cambiato idea su Merola (non sui “grillini’’ e i “leghisti’’) dopo che il sindaco uscente ha firmato per il referendum promosso dalla Cgil contro il Jobs act. Merola si comportò con correttezza e coraggio, anni or sono, quando sostenne le ragioni delle scuole d’infanzia paritarie, il cui finanziamento da parte dell’Amministrazione comunale (rientrante in un piano di sinergia programmata con le scuole pubbliche) venne contestato attraverso un referendum consultivo ultralaicista e statalista. I suoi avversari in quell’occasione rimangono, più o meno, gli alleati di oggi nella guerra contro il nuovo diritto del lavoro. Ma, come soleva dire Giacomo Brodolini, chi sceglie i propri amici, sceglie anche i propri nemici. Non mi sono mai piaciute le “alleanze variabili’’. Per raccattare voti.

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Maria Elena Boschi si è recata a Berlino dove ha illustrato la proposta di revisione costituzionale approvata dal Parlamento italiano e sottoposta a referendum confermativo in ottobre. Pare che la circostanza le abbia procurato tanto compiaciuto entusiasmo da indurla a concludere il suo intervento con la celebre frase di John F. Kennedy del 26 giugno 1963 : “Ich bin ein Berliner“.

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Prima Piercamillo Davigo al vertice della ANM, poi Francesco Greco nuovo Procuratore di Milano. Il “partito delle toghe’’ ha avviato una vera e propria ‘’Blitzkrieg’’ (guerra lampo), una strategia militare che consiste nell’impiego massiccio di divisioni corazzate e aviotrasportate per conquistare rapidamente una posizione di vantaggio.

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Un interessante saggio di Domenico Del Prete (‘’Il processo di via Barberia, la requisitoria stalinista che annunciò la fine del Pci’’, edito da Pendragon) racconta con dovizia di particolari e di testimonianze una vicenda singolare nella storia del Partito comunista bolognese: le sanzioni disciplinari assunte, nel lontano 1964, dal Comitato federale a carico di una decina di suoi componenti accusati di frazionismo, il più autorevole dei quali si chiamava Mario Soldati, un irriducibile amendoliano (morto prematuramente, alcuni tempi dopo, in un gravissimo incidente stradale). Quali furono le circostanze che diedero adito alla ‘’purga’’? Il 27 aprile di quell’anno era stato convocato per le 16,30 il Comitato federale nella storica sede di via Barberia, 4. Lì di fronte, in via de’ Griffoni, abitava Antonio Panieri, uno dei futuri accusati di frazionismo, il quale invitò a pranzo i suoi compagni di cordata, in vista della riunione che si sarebbe svolta, a due passi, poche ore dopo. Non è strano che si vada a congiurare di fronte alla sede del Partito ? Nel corso della spaghettata, ovviamente, si parlò anche di politica. Si disse pure che si fossero divulgate delle maldicenze nei confronti di un noto assessore, candidato a sostituire il sindaco-mito, Giuseppe Dozza. Scoppiò uno scandalo, con tanto di commissione d’inchiesta, relazioni di accusa, ritrattazioni, autocritiche, sospensioni dal partito e rimozione dagli incarichi ricoperti. Perché ho voluto raccontare questa storia sepolta e dimenticata, i protagonisti della quale sono quasi tutti morti? Ve lo immaginate che cosa succederebbe nel Pd renziano se le regole del Pci di allora fossero ancora in vigore ? Il frazionismo oggi è diventato la regola. Sic transit gloria mundi.

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