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Vi racconto la disfatta del centrodestra a Roma

Caro direttore,

ti scrivo dopo il piccolo naufragio. Era difficile pensare che, a Roma, finisse così. La vittoria dei cinque stelle era in larga misura scontata, ma non nelle proporzioni che si sono poi verificate. Lo scarto di voti tra la Raggi e il suo possibile competitor è destinata ad inficiare qualsiasi ragionamento ” à la francese”. Marine Le Pen, che trionfa al primo turno, ma poi crolla di fonte all’union sacré dei suoi oppositori. A Roma, invece, Virginia Raggi rischia di divenire il primo sindaco donna della Capitale. Auguri.

Roberto Giachetti ha di fronte a sé un compito particolarmente difficile. Deve abbattere un muro iniziale alto circa 10 punti. E sperare che dalla destra non giungano altri consensi a favore della candidata di Beppe Grillo. Ipotesi comunque plausibile, data l’orgogliosa autosufficienza con cui il movimento guarda agli altri. Per giocare la partita, deve quindi aprirsi verso mondi che non sono i suoi. Sollecitare il voto di uno schieramento più vasto. A partire da coloro che si sono riconosciuti nella candidatura di Alfio Marchini. Non solo rinunciare a richiedere l’analisi del sangue, come hanno fatto i suoi nel corso della campagna elettorale, ma proporre, a viso aperto, un patto per il governo della città. Con tutto quel che ne consegue in termini di programma e di uomini per realizzarlo. Partendo dal presupposto che tutto ciò che si è detto e fatto finora, è solo un preludio. Che dovrà profondamente rimaneggiare se vorrà avere una minima chance di successo.

Un voltafaccia? Un passo indietro? Dipende dai punti di vista. Può essere, al contrario, una forma di accelerazione verso quel “partito della Nazione” – lo si chiami come si vuole – che resta sullo sfondo. E che nascerà, se deve nascere, non nell’estenuante gioco parlamentare. Ma nel fuoco del confronto elettorale, dopo la presa di coraggio di chi si assume la responsabilità di inviare un segnale preciso ed inequivocabile. Il PD romano, più che Giachetti, è pronto a correre questo rischio? E’ in grado di uscire dalla fortezza in cui si è rinchiuso per affrontare il mare aperto? Mettendo nel conto che da questa operazione può anche derivare un’incrinatura di quello “zoccolo duro” che finora gli ha consentito di sopravvivere, ma sempre meno di vivere? Domande alle quali si dovrà dare risposta fin dai prossimi giorni. Altrimenti sarà quasi inutile, tanto scontato il risultato, andare nuovamente a votare.

Il centro-destra esce dalla vicenda romana non solo sconfitto, ma costretto a prendere atto che un lungo ciclo politico è ormai finito. E che nessun alibi potrà rimettere indietro le lancette della storia. Gli resta da sperare su Milano. Ma già quella della città meneghina è un’altra storia. Segnata dalla presenza forte di una classe media, che non solo non si è fatta suggestionare dalle sirene dell’antipolitica; ma ha avuto la capacità di indicare due candidati che tra loro più simili non si può. Quando a Roma si è fatto di tutto per perdere. Basta sommare i voti dei singoli candidati a sindaco per rendersene conto. Il totale supera il 30 per cento. Quanto bastava per presidiare il secondo turno, a danno del candidato della sinistra.

Ma il vero disorientamento si era avuto già nella scelta dei candidati. Quel perverso gioco della torre che prima aveva portato al rifiuto da parte della Meloni verso Marchini. Quindi alla scelta unitaria di Guido Bertolaso. Subito dopo abbattuto da una vera e propria guerriglia interna: prima Salvini con il suo pollice verso. Quindi la Meloni che decide di correre da sola. Ed, infine, lo stesso candidato, quando ormai la frittata era completa, costretto a ritirarsi. Nemmeno a volersi fare del male, si poteva fare peggio di così. Dilettanti alla sbaraglio verrebbe da dire, se la crisi non fosse ben più profonda.

Basterà una semplice assemblea per rimettere insieme i cocci, come propone Matteo Salvini? Staremo a vedere. Questa tornata amministrativa, a Roma l’evidenza maggiore, ha dimostrato come il quadro complessivo sia profondamente mutato. I principali protagonisti, che si confrontano e si scontrano, non sono più il centro destra da un lato ed il centro-sinistra dall’altro. Ma queste due formazioni politiche, a loro volta, devono fare i conti con la forza di un soggetto terzo: quale appunto la galassia del populismo, di cui il movimento cinque stelle è solo la variante italiana rispetto al contesto europeo ed internazionale. Come altrimenti definire Donald Trump, negli Stati Uniti?

In questo scenario, segnato dalla forte mobilità elettorale, non basta tessere la tela delle tradizionali alleanze. Occorre invadere il campo avversario, dopo essersi assicurato la fedeltà del proprio esercito. Nella speranza di tenere gli alieni, vale a dire i populisti, fuori la porta. Chi riuscirà in questo gioco, probabilmente avrà anche la palma della vittoria. E potrà guidare la coalizione destinata a governare. Una coalizione a geometria variabile, alla quale non tutte le forze dell’uno o dell’altro schieramento – in genere le ali estreme – potranno o dovranno partecipare. In ogni caso sarà sufficiente giungere ad una massa critica sufficiente. Il resto verrà di conseguenza.

Ma i diversi valori?: si potrebbe eccepire. Sono veramente così distanti? Le proposte di Matteo Renzi sono forse agli antipodi di quelle avanzate da Silvio Berlusconi? A Milano Giuseppe Sala è così alternativo rispetto a Stefano Parisi? Differenze esisteranno pure, ma esse sono destinate ad emergere solo nel momento in cui il campo è sgombro da altre presenze che brandiscono l’arma dell’antipolitica. Quando questo non avviene, allora, la “contraddizione principale”, come si diceva una volta, torna ad essere tra una cultura di governo e chi si limita a proporre solo il salario di cittadinanza. La panacea contro ogni male.

A Roma, queste diverse alchimie sono apparse nel modo più netto. Sarebbe però sbagliato ritenere che si è di fronte ad un’eccezione. E’ la realtà politica italiana che sta cambiando rapidamente, del resto più o meno in sintonia con quanto avviene in altri Paesi. Di tutto ciò è necessario prenderne atto e ricercare le risposte più opportune, che non possono essere quelle del passato. Chi sarà più lesto, marcherà il nuovo territorio, lasciando agli altri il compito della semplice protesta. Come, in parte, è già avvenuto a livello nazionale, anche se le reciproche ambiguità dei principali protagonisti rischiano di prestare il fianco proprio ai loro più irriducibili avversari.

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