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Che cosa si sono detti Barack Obama e Narendra Modi

Nello stesso giorno, martedì 7 giugno, in cui il presidente americano Barack Obama riceveva la quarta visita nel giro di due anni dell’omologo indiano Narendra Modi, il segretario di Stato John Kerry si trovava a Pechino, per incontrare le controparti cinesi nell’ambito dell’ottavo forum di dialogo economico e strategico tra Stati Uniti e Cina. Su entrambi i tavoli enormi questione geopolitiche e geostrategiche. Sullo sfondo della visita del presidente indiano a Washington, gli appuntamenti del capo della diplomazia americana impegnato in contatti con la Cina, la quale forma un asse d’intesa che va dalle armi al nucleare con il Pakistan, alleato controverso degli Stati Uniti, e nemico confinante dell’India.

ALLEVIARE LE POSIZIONI DI PECHINO SULL’INDIA

Tra i vari compiti di Kerry, quello di convincere i cinesi a sollevare i paletti imposti sull’ingresso dell’India tra i paesi fornitori di energia nucleare, il Nuclear Supply Group (Nsg), corpo internazionale che regolarizza le esportazioni e i ri-trasferimenti di materiali atomici nell’ottica di limitare la proliferazione, monitorando che il commercio di prodotti per uso civile non venga deviato su programmi militari. Obama considera già dal 2010 il paese asiatico pronto a vedersi sollevati i divieti imposti dopo il test atomico indiano del 1974 e all’ingresso nell’Nsg. Una posizione che ha un peso politico, perché rappresenta una sorta di elemento di scambio per facilitare i commerci tra India e Stati Uniti, che proprio sotto la sua amministrazione sono “sbocciati”. Sempre nel 2010, anche l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy si espresse favorevolmente sull’India nell’Nsg, e la linea nel corso degli anni s’è rafforzata, come i rapporti tra Parigi e Nuova Delhi: gli indiani hanno nel frattempo raccolto diversi consensi tra altri stati membri, per esempio in Svizzera e in Messico.

LA BORDATA DEL NEW YORK TIMES

Ci sono critiche sull’apertura americana all’India, perché il paese non ha mai aderito al Trattato di non-proliferazione (Npt): servono 45 voti favorevoli tra le 48 nazioni aderenti all’Nsg (tra questi c’è anche l’Italia) e Washington confida nel raggiungimento del quorum già nel prossimo summit che si terrà il 9-10 giugno a Seul. A mettersi di traverso nei piani della Casa Bianca anche un pesante editoriale del New York Times (di quelli firmati dall’Editorial Board che hanno molto valore a livello di dibattito internazionale): nel pezzo pubblicato il 4 giugno il giornale americano sostiene che l’ingresso nell’Nsg trasformerebbe l’India in una potenza nucleare completamente regolare, sebbene ancora gli standard di comportamento del paese non siano adeguati.

L’INGHIPPO PAKISTANO

Anche secondo il consiglio editoriale del Nyt la questione principale è l’assenza della firma sull’Npt (sebbene eccezioni furono già fatta per la Francia nel 1975, e negli anni successivi per Giappone, Argentina, Brasile). Ma pesa forse pure di più una richiesta presentata il 20 maggio dal Pakistan (altro paese non firmatario del trattato di non proliferazione); come nel caso del contrasto al terrorismo, i pakistani per Washington si dimostrano nuovamente più parte del problema che alleati con cui risolvere le questioni. In una lettera indirizzata al presidente dell’Nsg, l’argentino Rafael Mariano Grossi, l’ambasciatore pakistano a Vienna ha formalizzato la domanda per l’inclusione di Islamabad nell’organizzazione. La questione apre uno scenario geopolitico, perché il Pakistan è strettamente collegato alla Cina, che potrebbe sollevare il veto all’ingresso indiano nell’Nsg e soltanto in cambio di un’apertura ai pakistani. La Cina, che foraggia per ora in palese violazione dei protocolli imposti dall’Nsg il programma nucleare pakistano (il quale procede a ritmi velocissimi anche grazie ai soldi sauditi) vuole regolarizzare Islamabad, ma sa che se entrerà l’India prima del Pakistan Nuova Delhi potrebbe essere un problema per il raggiungimento del proprio obiettivo.

BILANCIAMENTI E “ORDINE GLOBALE”

I cinesi inoltre vedono l’India come il principale dei concorrenti regionali (sono i due membri asiatici dei Brics, per esempio), e questa posizione è stata acuita dagli attuali forti rapporti con gli Stati Uniti con gli indiani. Ma, come ha spiegato all’Indian Express Walter Andersen, direttore del South Asia Program alla School of Advanced International Studies della Johns Hopkins University, i cinesi temono che un no definitivo possa avvicinare ancora di più India e America, e dunque potrebbero usare il bilanciamento dell’ingresso del Pakistan a doppio vantaggio: coltivare i propri interessi e non far precipitare i rapporti con l’India. Il 10 giugno, giorno di chiusura del meeting Nsg, partirà l’esercitazione “Malabar”, wargame marittimi congiunti tra India e Stati Uniti, a cui aderirà anche il Giappone.

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