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Vi spiego il guazzabuglio dell’articolo 18 per i dipendenti statali

Gli “ammazzasette’’ della Casta strillano come aquile (sarebbe meglio dire come galline) all’indirizzo della sentenza della Corte di Cassazione sull’inapplicabilità dell’articolo 18 come ‘’novellato’’ dalla legge n.92 del 2012 (la riforma del mercato del lavoro made by Fornero). Secondo gli “ammazzasette’’ nostrani, i pubblici dipendenti non costituiscono altro che il “mondo di mezzo’’ tra la politica e i cittadini; in pratica, sono i “complici’’ della corruttela a loro dire tanto diffusa da essere ormai endemica (basti pensare alla leggenda metropolitana dei 60 miliardi all’anno). Ed è facile fare demagogia nei loro confronti, minacciare sfracelli (si vedano i progetti fino ad ora incompiuti del ministro Marianna Madia), salvo poi usare la mano leggera quando si scrivono le norme. A proposito del pubblico impiego, anche l’implacabile Elsa Fornero fu indotta a scrivere, nella sua legge, parole che “dicono e non dicono’’. Come recita, infatti, il comma 7 dell’articolo 1? “Le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni…’’. Va poi osservato che è il profilo stesso dell’articolo 18 “novellato’’ a non apparire coerente con la situazione giuridica del settore. Il licenziamento economico non è previsto nelle pubbliche amministrazioni; quello per giustificato motivo soggettivo (disciplinare) ha una regolamentazione specifica molto precisa. La normativa, pertanto, è tutto fuorché chiara. Anche perché il vecchio articolo 18, al netto della “novella’’ di cui alla legge n.92/1992, non dovrebbe essere considerato tuttora vigente. E’ consentito, allora, alla Suprema Corte, resuscitare una norma “defunta’’, perché trasformata? In sostanza, è pacifico che la disciplina del licenziamento prevista dal contratto a tutele crescenti non è applicabile ai pubblici dipendenti, ma resta un’ombra sulla possibilità di estendere loro il nuovo articolo 18, non avendolo previsto esplicitamente la legge n.92/2012. Sarà bene definire la materia nell’ambito dei decreti delegati attuativi della legge Madia.

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Della sentenza in questione andrebbe esaminata la fattispecie concreta. Probabilmente il licenziamento risulterebbe ampiamente giustificato anche alla luce del previgente articolo 18. Chi applica le leggi, soprattutto nel settore del pubblico impiego, lo fa con un particolare, spesso eccessivo, riguardo nei confronti dei lavoratori.

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Se fossi a Torino nel ballottaggio voterei per Piero Fassino, a Milano per Stefano Parisi, a Roma per Roberto Giachetti, a Napoli per Gianni Lettieri. E a Bologna, la mia città? Per la prima volta il 19 giugno non mi recherò alle urne. Non voterei mai una “leghista’’ in linea con Matteo Salvini. E Virginio Merola. il mio voto se lo è giocato da quando è andato a sottoscrivere il referendum della Cgil sul jobs act. Mi corre l’obbligo di una precisazione: non ce l’ho con la Cgil, ma difendo quella legge.

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Liberate il cane Argo!

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