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Brexit, che cosa agita borghesi e classe media

Brexit ovvero il sogno di tutti i populisti, che ora possono lanciare il famoso appello all’unità. Populisti di tutto il mondo unitevi. Anche se, a prima vista, non si capisce contro chi. A prima vista, perché se solo si riflette un poco, le risposte non tardano a venire.

Nei secoli passati quel grido risuonava contro il capitalismo. Proletari che dovevano marciare uniti contro quel mostro a cinque teste. Tante quanto i Continenti. Per costruirvi il sol dell’avvenire. Non andò proprio così. Quel mostro dimostrò di avere più vite di un gatto. E la capacità di trasformarsi, come in un videogioco, in qualcosa di imprevedibile. Fino ad assumere la forma attuale: quella globalizzazione che, a torto o ragione, é considerata da strati crescenti della popolazione delle vecchie metropoli occidentali il male da combattere.

Questa volta, tuttavia, non sono i proletari – che quasi non esistono più – ad alzare al cielo le bandiere della protesta. In testa ai cortei vi sono borghesi e classe media. Intellettuali, una volta organici, e teorici delle piccole patrie: luoghi da preservare contro una contaminazione culturale, ritenuta inaccettabile.

Questo mondo variegato spiega perché il populismo non è di destra o di sinistra. O, se proprio non ci si riesce a staccare da queste categorie, è, al tempo stesso, di destra e di sinistra. I vinti, infatti, non sono da una parte sola. Sono nel mucchio e come tali si esprimono. Anche se poi rischiano di determinare – lo stiamo vedendo in diretta con Brexit – conseguenze ancora più drammatiche. Ma la storia, si sa, non é stata mai pura razionalità.

Cerchiamo comunque di andare alla scoperta di ciò che non si vede ad occhio nudo, per trovare una chiave di lettura. Il primo interrogativo riguarda proprio la globalizzazione. È un fenomeno dannoso per l’umanità nel suo complesso? Non si direbbe. Basta guardare ai dati ONU sulla povertà nel Mondo. Che rispetto al ’900 sia enormemente diminuita e’ un dato incontrovertibile. Ed allora?

La globalizzazione ha comportato anche una forte crescita delle disuguaglianze sociali. Non tanto tra le diverse aree del Pianeta, dove abbiamo assistito ad un fenomeno inverso. Ma nel rapporto tra centro e periferia. Quel confine antico che divideva l’area dell’opulenza dai “dannati della terra”, per riprendere Franz Fanon, si e’ spostato. Ed oggi divide, seppure in forme molto meno drammatiche, i quartieri-bene di quelle stesse metropoli dalle loro periferie. Ed è allora che il populismo prende piede e si sviluppa.

Fenomeno moderno, quindi, che si nutre delle contraddizioni del suo tempo storico. Le campagne di un tempo, del linguaggio maoista, coltivavano propositi rivoluzionari contro le grandi metropoli occidentali. Ma erano solo sogni palangenetici. Oggi invece le grandi migrazioni verso i Paesi del benessere alimentano gli incubi di coloro che già vivono, con disagio, la precarietà indotta dalla globalizzazione. Ed ecco allora che questi due distinti elementi – l’insofferenza verso il diverso e la precarietà – formano una miscela incendiaria. Che si traduce in rabbia. E la rabbia in un’azione politica destabilizzante, che supera anche il timore innato di un possibile salto nel buio. È quello che si è verificato in Inghilterra, ma che può determinare un effetto domino in molti altri Paesi europei.

Esiste quindi una contraddizione profonda nel cuore stesso della modernità. In passato sviluppo economico e democrazia andavano di pari passo. L’Occidente poteva coniugare il suo crescente benessere con il progressivo allargamento degli spazi di partecipazione democratica. Nelle aree del Terzo Mondo, invece, il ristagno era doppio. Allo sfruttamento imperialista, si accompagnava la diffusione di regimi autoritari, in grado di soffocare sul nascere le pur minime manifestazioni di dissenso. Paradossalmente entrambi i sistemi avevano una loro intima coerenza.

Che oggi e’ venuta meno, proprio a seguito del divorzio di quei due elementi costitutivi. Visto che in Occidente il tempo delle “aspettative crescenti” per riprendere le tesi di Galbraith, ha ceduto il passo ad un’incertezza. Ed é questa incertezza che rende tutto possibile. Anche l’ulteriore inevitabile disastro.

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