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Merkel, Renzi e il tafazzismo italico

Di fronte al “duello” latente già da tempo ma esploso dopo la Brexit fra Angela Merkel e Matteo Renzi sulle regole bancarie dell’Unione Europea, che penalizzano le banche italiane e la cancelliera tedesca non vorrebbe cambiare perché decise solo due anni fa, gli avversari e critici interni del presidente del Consiglio allungano le distanze da lui.

L’autolesionismo evidentemente è una vocazione irrinunciabile dalle nostre parti, equamente distribuito – si deve ammettere – fra destra e sinistra, in un gioco di ripicche che fa male al paese. Nel 2011, quando la Merkel e l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy non perdonarono a Silvio Berlusconi e a Giulio Tremonti le resistenze opposte alla pretesa di fare pagare all’incolpevole Italia una specie di sovrapprezzo per fronteggiare la crisi del debito pubblico della Grecia, e per ritorsione alimentarono o consentirono la speculazione finanziaria contro i nostri titoli di Stato, l’opposizione di sinistra voltò lo sguardo dall’altra parte. E cavalcò le risatine sarcastiche della cancelliera tedesca e del presidente francese, fra le proteste del solo Pier Ferdinando Casini, per accelerare la caduta del governo a Roma.

Ora l’opposizione di quello che fu il centrodestra ricambia. Proprio sul Giornale della famiglia Berlusconi il direttore Alessandro Sallusti ha contestato a Renzi di essere solo “un peso piuma”, destinato a soccombere, “maltrattato all’estero e isolato in Italia”, nonostante abbia nel duello con la Merkel “non ragione ma straragione”. Egli ha infine esultato per l’ormai vicina uscita di Berlusconi dall’ospedale, dopo l’intervento a cuore aperto, come per dire che col suo ritorno in campo l’azione di contrasto al presidente del Consiglio sarà più forte ed efficace. Eppure Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset e amico da una vita di Berlusconi, ha contemporaneamente confermato alla Stampa di ritenere opportuno, anzi necessario il ritorno a qualcosa di simile al famoso Patto del Nazareno fra il Pd e Forza Italia.

La sortita di Confalonieri coincide, peraltro, con cambiamenti nell’organizzazione dei forzisti che hanno consentito a Libero Quotidiano diretto da Vittorio Feltri di titolare che “Fininvest si riprende il partito e la cassa”. Che è stata infatti tolta alla senatrice Mariarosaria Rossi per essere affidata a un uomo di fiducia dell’azienda del Biscione. Un’altra decapitazione politica è stata riservata alla portavoce berlusconiana Deborah Bergamini, colpevole nientemeno della sfortunata convergenza su Alfio Marchini nelle elezioni capitoline, come se Berlusconi non avesse l’abitudine di prendere da solo certe decisioni. E’ una cosa che, francamente, fa torto anche all’ex Cavaliere, i cui contatti col giovane imprenditore romano risalivano a ben prima delle elezioni a Roma e della rinuncia alla candidatura a sindaco del povero Guido Bertolaso.

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In verità, il problema di Forza Italia non è quello del cosiddetto “giglio magico”, come si chiama anche quello di Matteo Renzi, per non parlare del “cerchio” che circondava una volta nella Lega Umberto Bossi. Il problema è di linea politica, di scelta delle alleanze e dei programmi, che sono molto meno definiti di quanto non si voglia far cedere con le giaculatorie sulle intese già pronte o in via di definizione con i leghisti e la destra di Giorgia Meloni. Su queste scelte non c’è “giglio magico” che tenga. A compierle è stato, è e resterà solo lui: Berlusconi. Che persino Fedele Confalonieri stenta a convincere, come ha praticamente ammesso nella già citata intervista alla Stampa.

In questa situazione è francamente difficile anche azzardare previsioni e interpretazioni di fatti che pure dovrebbero avere un rilievo istituzionale e politico notevole, come quello che ha tanto consolato gli amici del Foglio nostalgici, al pari di Confalonieri, del Patto del Nazareno: la convergenza di voti appena avvenuta in Parlamento, alla vigilia del primo Consiglio Europeo dopo la Brexit, sulle mozioni della maggioranza e di quel che rimane del centrodestra. Una convergenza già minata dal fatto che a sottoscrivere la seconda mozione sono stati forzisti e leghisti, che sull’Europa hanno posizioni a dir poco diverse. Sono mesi d’altronde che Salvini, l’altro Matteo, invita pubblicamente Berlusconi a decidersi a scegliere sul versante europeo fra l’appartenenza al Partito Popolare Europeo della Merkel e l’alleanza con la Lega. La quale, a sua volta, è divisa fra lo stesso Salvini, tanto smanioso di imitare gli inglesi per non essere “gli ultimi” a uscire dall’Unione, e il governatore della Lombardia Roberto Maroni, impegnato a trasferire a Milano gli uffici dell’Unione in chiusura a Londra.

Confusione sull’Europa, peraltro, c’è anche fra i grillini, nonostante i segni di svolta o di correzione, rispetto alle vecchie posizioni contestatrici, lanciati dopo i successi elettorali amministrativi e l’aumentata possibilità di diventare forza di governo anche a livello nazionale. Alla prima occasione utile nel Parlamento Europeo i pentastellati si sono ritrovati a votare con i colleghi di gruppo dell’inglese Nigel Farage, il campione della Brexit, esultante per l’esito del referendum inglese e indifferente agli attacchi per avere imbrogliato i suoi elettori in patria con false informazioni sui vantaggi che sarebbero derivati al loro sistema sanitario dalla rottura con Bruxelles.

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La confusione è notoriamente contagiosa. Massima infatti è quella nel Pd sui destini della nuova legge elettorale della Camera chiamata Italicum. Matteo Renzi alterna momenti di chiusura e di apertura ad una sua modifica, reclamata dalle minoranze del partito ma anche dagli alleati centristi e dal centrodestra per l’assegnazione del premio della maggioranza alla coalizione e non alla lista più votata. Cosa che potrebbe procurargli anche qualche vantaggio nel referendum sulla riforma costituzionale, riducendo il fronte crescente del no e il rischio quindi di perdere e di doversi dimettere, visto che Renzi ha appena confermato di non sentirsi il solito “pollo di batteria che perde e fa finta di nulla”. Piuttosto, egli è convinto che “chi ha paura dei rischi non possa fare politica”.

Qualcosa comunque il presidente del Consiglio dovrà dire lunedì anche su questo problema alla direzione del suo partito. E a settembre in Parlamento, quando si discuterà una mozione sull’Italicum, appunto, predisposta dalla sinistra vendoliana.

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