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Cosa fa l’Italia contro il terrorismo islamico

«Il fattore umano è la migliore arma contro l’evoluzione tecnologica» che qualche volta rallenta o impedisce le indagini antiterrorismo di fronte a telefoni non intercettabili o difficili da penetrare e al rifiuto di collaborazione delle aziende costruttrici. Ne è convinto Lamberto Giannini, direttore del Servizio centrale antiterrorismo della Polizia, autore con il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti, del «Manuale dell’antiterrorismo. Evoluzione normativa e nuovi strumenti investigativi», edito da Laurus e presentato alla Camera, ospite Rosy Bindi, presidente della Commissione antimafia. Raccogliendo e spiegando le norme dagli anni Settanta al decreto del 2015, il manuale è anche una fotografia della storia d’Italia attraverso i momenti bui, con tutte le enormi differenze tra le Brigate rosse e l’Isis.

«L’attenzione è alta, ma non ci sono segnali specifici o evidenze particolari», ha detto Giannini commentando l’allerta statunitense su possibili attentati in Europa, così come viene adeguatamente monitorato il flusso di immigrati pur se, ha aggiunto, «associarlo al terrorismo è una cosa che non sta in piedi». Il decreto antiterrorismo dello scorso anno ha consentito passi avanti decisivi per gli investigatori, permettendo di intervenire preventivamente tanto che qualcuno ha parlato di «processo alle intenzioni». Giannini respinge l’accusa, sottolineando i limiti imposti dalle nuove norme che però, per esempio, consentono di punire l’autoaddestramento: con certi indizi si procede contro qualcuno che ha una vita tranquilla mentre in realtà apprende tecniche terroristiche in casa propria. «Oggi gli strumenti legislativi consentono di fermarli in tempo».

«Lo Stato islamico è una banda criminale e non sarà mai un interlocutore. Abbiamo studiato la materia normativa e l’aspetto fenomenologico del terrorismo internazionale quando abbiamo avuto questo mandato» ha aggiunto Roberti. «Finora la legislazione è stata formulata sull’onda dell’emergenza, ma è coerente, c’è stata un’evoluzione a cui ci siamo dovuti adeguare con l’anticipazione della soglia di punibilità». Roberti, anzi, ha detto che «le norme sono un cantiere aperto: si pensi al terrorismo nucleare o ai finanziamenti in favore dei singoli terroristi e non solo del terrorismo in generale com’è previsto oggi». Anche Giannini spiega che l’azione penale preventiva «va abbinata alla minaccia senza precedenti, creando un sistema equilibrato che garantisce i diritti». Ma ciò che si ha non è mai sufficiente: «Dobbiamo investire sul fattore umano, che ci consente con l’infiltrazione e la penetrazione di certi ambienti di superare gli ostacoli tecnologici, e avere ulteriori investimenti per migliorare le nostre tecnologie». Più formazione e risorse, dunque, ma anche la collaborazione internazionale è fondamentale. Roberti ha ammesso che dopo gli attentati di Parigi dello scorso novembre sono migliorati gli scambi di informazione sia con l’Ue attraverso Eurojust sia con i Paesi balcanici. Noi italiani, ha aggiunto, «siamo i più bravi a coordinare e i più disponibili a scambiare informazioni». Speriamo che presto lo siano anche gli altri.

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