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Tutti i grilli per la testa di Renato Brunetta, Massimo D’Alema e Matteo Salvini

Solo dopo i ballottaggi comunali di domenica, e la lunga campagna elettorale che li ha preceduti, troppo lunga secondo Giovanni Orsina, che ne propone la riduzione da 14 a 7 giorni, gli specialisti dei cosiddetti flussi potranno cercare di leggere i risultati per valutare la trasversalità del voto. Cioè, per violarne la segretezza garantita dalle leggi e dirci, nel nostro caso, quanti elettori leghisti del primo turno avranno votato nel secondo turno per i candidati grillini e quanti elettori grillini per i candidati leghisti, o altri del centrodestra, pur di sconfiggere i corridori del Pd. O quanti elettori del Pd avranno votato per i candidati di centrodestra pe far perdere i grillini. E, magari, all’interno del Pd, quanti avranno scelto i candidati grillini o del centrodestra per far perdere il candidato della propria parte sgradito perché troppo gradito o sostenuto dall’odiato segretario pidino Matteo Renzi.

Non credo proprio che gli specialisti, per quanto bravi possano essere nello studio o nell’invenzione, riusciranno mai a scoprire, leggendo i dati della sezione elettorale romana di Massimo D’Alema, se davvero – come gli ha appena attribuito il retroscenista di Repubblica Goffredo de Marchis, sdegnosamente smentito dall’interessato – avrà votato per la “luciferina” candidata grillina Virginia Raggi al Campidoglio pur di contribuire a battere Roberto Giachetti, candidato secondo lui troppo renziano, e perciò inadatto a governare la Capitale d’Italia.

Per la stessa ragione, secondo altri retroscenisti, D’Alema già al primo turno del 5 giugno avrebbe votato per l’amico Alfio Marchini, di cui ha a lungo frequentato la tavola, a casa, con altri ospiti. E che è uscito tanto malconcio dalle urne da guadagnarsi un’amichevole telefonata di rammarico da Silvio Berlusconi, colto dal dubbio, prima di ricoverarsi in ospedale per un urgente e delicato intervento al cuore per fortuna riuscito, di averlo più danneggiato che favorito sostenendone la candidatura dopo il ritiro del suo sfortunato Guido Bertolaso. Che peraltro per il ballottaggio ha deciso e annunciato di votare per Giachetti, anziché scomodarsi al seggio per deporre scheda bianca, come ha indicato Berlusconi, o votare addirittura, in funzione antipidina e antirenziana, la candidata di Grillo e già praticante dello studio legale dell’ultraforzista e condannato Cesare Previti.

In soccorso della pentastellata Virginia Raggi, sempre in funzione antipidina e antirenziana, si sono già pronunciati a livello nazionale, più o meno direttamente, con convinzione o indulgenza, il segretario leghista Matteo Salvini, l’ex sindaco di destra Gianni Alemanno, il solito forzista esasperato Renato Brunetta e persino la solitamente morigerata Mariastella Gelmini, supervotata come consigliere comunale a Milano, che ha come attenuante almeno il fatto di avere una stella – la sesta evidentemente di Grillo – nel suo nome di battesimo.

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Tutte queste supposizioni, previsioni, ipotesi e quant’altro saranno pure “elucubrazioni”, come le ha liquidate un severissimo Vittorio Feltri deplorandole al pari di certe propensioni dei tifosi del Milan a godere più della sconfitta dell’Inter che della vittoria della loro squadra, ma stanno caratterizzando questo supplemento di campagna elettorale per le amministrative di giugno più dei confronti, televisivi e non, fra i vari candidati nelle varie città sui loro programmi, veri o presunti che siano.

Tanto, queste supposizioni, si sono imposte nel dibattito politico italiano, contendendo l’attenzione del pubblico alle solite, brutte notizie di sangue dall’estero, prodotte da un terrorismo islamista che cerca in occidente rivincite alle sconfitte militari che sta subendo tra l’Africa e il Medio Oriente il fantomatico ma non troppo Stato Islamico, da essersi procurato un editoriale di Paolo Mieli, a quattro giorni ormai dal voto di domenica, sul Corriere della Sera. Un editoriale curioso di verificare la fondatezza di uno studio di Roberto D’Alimonte secondo cui la trasversalità “asimmetrica” degli elettorati leghista e grillino sarebbe del 28,5 per cento di provenienza Lega e destinazione Grillo e solo del 19 per cento in direzione opposta. Cosa, questa, che già di per sé, senza tenere conto di altre trasversalità, potrebbe bastare ed avanzare per nutrire qualche preoccupazione, a dir poco, sulla possibilità di una rigenerazione omogenea e coerente di quello che fu il centrodestra.

Quando una trentina di elettori leghisti su cento ha pulsioni grilline, riesce francamente difficile pensare ad un nuovo centrodestra tanto costruttivamente competitivo con il Pd, come vorrebbe la maggioranza dei moderati, da ripristinare il bipolarismo prodotto dalle urne del 1994 con l’irruzione di Berlusconi nella politica, e da relegare i grillini al ruolo di una opposizione velleitaria, al pari della sinistra estrema. Che non chiamo radicale, come fanno in tanti, a cominciare dai suoi maggiori esponenti, per non offendere la memoria di Marco Pannella e non farne rivoltare le ossa nella tomba di Teramo.

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Lasciatemi infine compiacere del ritorno della firma di Indro Montanelli sulla prima pagina del Giornale da lui fondato nel lontano 1974 per contrastare una certa, conformistica rassegnazione al compromesso storico, come allora si diceva, fra la Dc e il Pci.

Il direttore Alessandro Sallusti, dal quale mi è capitato tante volte di dissentire, ha giustamente scomodato dall’aldilà il suo illustre predecessore riproponendo ai lettori un editoriale scritto nel 1999 non per il Giornale ma per il Corriere della Sera, dov’era tornato dopo la rottura del 1994 con Silvio Berlusconi, a favore della vaccinazione culturale, e non solo culturale, del pubblico dal nazismo e dall’antisemitismo con la diffusione e la lettura del demenziale e criminale Mein Kampf scritto da Adolf Hitler. Un libro appena distribuito dal Giornale, nell’ambito di un programma editoriale di carattere storico, fra le proteste dei soliti conformisti dell’indignazione. Al cui club ha avuto l’imprudenza di iscriversi anche il candidato di Renzi, peraltro dopo lo stesso Renzi, a sindaco di Milano, Giuseppe Sala, dicendo proprio che con Montanelli una iniziativa del genere il giornale ora di proprietà della famiglia Berlusconi non se lo sarebbe mai potuto permettere.

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