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Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Cosa si sono detti banchieri e bancari

Lando Maria Sileoni

Banchieri e bancari, amici (forse) un tempo. Oggi un po’ meno. D’altronde non si può certo dire che questi siano tempi facili per i rapporti tra le due categorie. I primi alle prese con ristrutturazioni lacrime e sangue e impegnati a difendere il proprio operato. I secondi, rappresentati nell’occasione dalla Fabi, il sindacato dei bancari, pronti ad alzare le barricate contro quei licenziamenti che mai come oggi aleggiano sugli istituti.

QUELLE SCINTILLE IN BANKITALIA

I primi segnali di una certa tensione tra sindacati dei bancari e istituti, si erano già potuti cogliere lo scorso 31 maggio, in occasione della relazione annuale della Banca d’Italia. In un passaggio delle sue considerazioni il Governatore Ignazio Visco ha sottolineato l’esigenza “per molte banche italiane di intervenire anche sui costi, inclusi quelli per il personale, agendo su qualità e quantità degli organici in maniera coerente con gli sviluppi del mercato e della tecnologia”. Apriti cielo. Pur non nominando mai la parola licenziamento o esubero, Visco ha scatenato l’immediata reazione della Fabi, già sul chi va là dopo che il governo, anticipando nella sostanza l’orientamento di Visco, aveva sottolineato l’esistenza in Italia di troppe banche e per questo auspicato aggregazioni. Le quali, quasi sempre, si traducono in una mobilità del personale. Di qui la risposta stizzita arrivata a stretto giro di posta di Lando Sileoni, leader della Fabi.  “Al primo licenziamento alzeremo le barricate e bloccheremo il settore, come già fatto per rinnovare il nostro contratto nazionale”.

IL FACCIA A FACCIA BANCHE-SINDACATI

Il confronto vero e proprio banche-sindacati è andato in scena ieri pomeriggio a Roma, nell’ambito della decima conferenza di organizzazione della Fabi, presso l’hotel Ergife. Sul palco, riuniti da Sileoni, una nutrita pattuglia si banchieri. Il dg di Veneto Banca Cristiano Carrus, l’ad di Carige Guido Bastianini, quello della Popolare di Vicenza Francesco Iorio, il presidente di Bnl Luigi Abete e il numero uno di Ubi, Victor Massiah. Tutti a porsi (più o meno) la stessa domanda. Con le banche italiane travolte dalla volatilità dei mercati e alle prese con ricapitalizzazioni non sempre felici, come garantire i posti di lavoro e trasmettere fiducia ai dipendenti senza rischiare sommosse interne? Risposte non facili dinnanzi a una platea composta per lo più da iscritti alla Fabi, che ha costretto gli intervenuti a spiegare, e soprattutto a convincere, della bontà delle proprie azioni.

CARRUS, SE ATLANTE RIDARA’ SPERANZA (AI DIPENDENTI)

Il primo a prendere la parola è stato Carrus chiamato in questi giorni a tirare fuori dalla secche Veneto Banca, dopo il flop dell’aumento di capitale (arrivato a pochi giorni da un altro disastro, quello della Popolare di Vicenza), che ha spalancato le porte al Fondo Atlante e mandato in fumo la quotazione. Una situazione descritta da Carrus come “particolarmente delicata e complessa che oggi con questo intervento” del Fondo Atlante “segna un punto non fermo ma di partenza”. Per il manager, dunque, Atlante è sinonimo di speranza e se non si andrà incontro a tagli di personale, lo si dovrà forse proprio al fondo imbastito da governo e Bankitalia. “Questo capitale non entra solo per colmare il deficit patrimoniale ma per segnare la ripartenza della banca in un territorio florido come il Nord Est per ridare speranza a dipendenti e clienti, evitando gli errori clamorosi del passato”.

LE SCARAMUCCE TRA ABETE E SILEONI

Luigi Abete, presidente di Bnl e non certo banchiere dell’ultima ora, ha preso il discorso un po’ di petto. Sottolineando l’ormai inevitabile necessità di “adattare le banche e la loro struttura a un mondo globalizzato: o si sceglie di stare nell’arena internazionale, con le spalle grosse, oppure alla fine nel giro di anni o mesi si viene acquisiti”, ha spiegato Abete, puntando lo sguardo dritto su Sileoni. L’ex presidente di Confindustria, senza troppi peli sulla lingua, ha fatto notare come oggi le banche “vivono un problema di rapporti di mercato, che debbono essere aggiornati ai parametri dello stesso”. Parole che evidentemente non debbono essere piaciute un granché al leader della Fabi Sileoni, che ha intravisto lo spettro di una messa in discussione del contratto nazionale dei bancari, siglato appena l’anno scorso.  “Per noi il contratto collettivo nazionale è la bussola e non si rimette in discussione”, ha detto Sileoni. “L’attuale contratto nazionale dei bancari, rinnovato lo scorso anno e in vigore fino al 2018 prevede già dei demandi alla contrattazione aziendale su argomenti come, ad esempio, il premio di produttività. Un conto è modernizzare l’architettura contrattuale, un altro destrutturarla. La destrutturazione non può passare perché significherebbe introdurre l’anarchia nel settore e creare lavoratori di serie e A e serie B, con trattamenti differenziati”, ha concluso Sileoni.

IORIO, BISOGNA RIMOTIVRE I DIPENDENTI

Anche Iorio, al pari del suo collega Carrus, ha voluto giocare la carta della speranza e della fiducia. Per il manager l’avvento di Atlante non deve essere visto come una sconfitta, ma come un’opportunità. Dopo l’aumento di capitale la Popolare di Vicenza “può tornare a operare in pieno” e a realizzare le strategie perché “la banca possa tornare a fare profitto”. “Noi”, ha aggiunto il manager, “siamo la banca più patrimonializzata di Italia un Cet1 superiore al 13.5% e adesso abbiamo due priorità: la rimotivazione dei dipendenti e la riconquista del territorio”.

COSA PENSA LA FABI DEL (NUOVO) AD DI UNICREDIT

A margine dei lavori della Fabi c’è stato anche spazio per un commento della Fabi su Jean Pierre Mustier, nuovo amministratore delegato di Unicredit. “Il nostro è un commento positivo, è un manager che conosce bene la banca e potrà sicuramente rilanciarla senza la chiusura di sportelli, come si vocifera nei corridoi”, ha detto Sileoni.

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