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Theresa May è primo ministro

Theresa May è stata incaricata dalla Regina Elisabetta II di formare un nuovo governo. Si apre, a quanto pare, una nuova fase nella travagliata politica britannica.

Dopo l’esito del Referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea, risultato negativo, una intera classe dirigente è stata travolta: David Cameron, il leader dei conservatori britannici, che da poco vinto le elezioni conquistando un risultato incredibile, è ora uscito di scena. Il Labour Party è sconvolto da guerriglie interne per il potere, con un tentativo di defenestrare il neo-eletto Leader Jeremy Corbyn che potrebbe segnare una spaccatura insanabile per il partito laburista. I dati economico-finanziari della Gran Bretagna traballano e l’insicurezza di milioni di cittadine e cittadini è drammaticamente aumentata.

Il discorso di oggi di Theresa May stupisce profondamente per due ragioni: in primo luogo perché i contenuti sembrano opposti a quelli che siamo soliti sentire da parte dei conservatori, un programma di governo abbozzato, certo, ma fortemente “sociale”. Parla degli esclusi e degli emarginati, di chi ha difficoltà economiche, delle disuguaglianze profonde tra donne e uomini, tra ricchi e poveri, tra bianchi e neri. Insomma, la domanda che vien da porsi è se Theresa May sia una socialdemocratica o una conservatrice a questo punto. La seconda ragione è che chi parla di questi temi, con tanto pathos e determinazione, è un esponente politico di spicco del partito conservatore britannico. Una personalità che negli ultimi dieci anni è stata protagonista, con vari ruoli di responsabilità nel partito e nei governi Cameron, delle politiche di austerità e di forte conservatorismo che hanno caratterizzato questo ultimo periodo. Insomma, chi oggi parla di queste emergenze sociali è anche chi queste emergenze ha concorso a crearle.

Leggendo i commenti al post della pagina ufficiale di Facebook molti sono scettici. Suggeriscono di non credere a una sola parola di quel che dice, dopotutto ha una biografia che parla da sé. Altri sperano che possa fare anche solo una piccola parte di quel che ha detto. Un primo atto assai contestabile è aver messo al ministero degli esteri niente meno che uno dei fautori del Brexit e uno dei più disarmanti personaggi politici britannici dell’ultimo ventennio: Boris Johnson.

La Gran Bretagna sta per attraversa una fase complessa di ri-definizione del suo ruolo in Europa, ma anche di ri-definizione dell’identità nazionale. Non a caso la May sottolinea come il nome completo del partito conservatore britannico sia anche quello “unionista”, per ricordare, in perfetto stile conservatore, il valore dell’unità nazionale. Si tratta di un nazionalismo assai chiaro, per carità non becero  come quello di Farange. Ma tant’é.

La May dovrà fare un gran lavoro per poter tenere la Gran Bretagna unita. La Scozia scalpita, il Nord dell’Irlanda anche. La Regina all’apertura dei lavori del Parlamento scozzese ha invitato alla calma e alla saggezza. La Regina sembra oggi, ancora, l’unica figura politica capace di mantenere la coesione nazionale. Ma non sarà sufficiente questa volta, di per sé.

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