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Perché la Buba vuole azzoppare Bruxelles e Bce a favore del fondo Esm

E ora tocca alla Buba. Vale a dire la Bundesbank, scesa in campo a sostegno della strategia da tempo impostata da Wolfgang Schäuble, il soldato. O meglio il ministro delle finanze tedesche, ma anche il leader degli ortodossi. Tutto rigore e ottusa severità. Da tempo in lotta per espungere dall’Unione europea tutto ciò che sa di comunitario, per ritornare al rapporto più semplificato tra i soli Stati membri. Dove la Germania, ovviamente, sia per il suo peso demografico che per quello economico-finanziario, non può che esercitare prerogative regali. La Banca centrale tedesca, a sua volta diretta da un altro falco, come Jens Weidmann (nella foto), da sempre in polemica con Mario Draghi considerato fin troppo liberal, ha mobilitato i suoi economisti per giungere alla formulazione di una proposta che farà discutere. Anche se di difficile realizzazione.

L’obiettivo è chiudere, seppure in parte, la Commissione europea e la Bce e trasferire le relative competenze all’Esm: il cosiddetto “Fondo salva Stati” che abbiamo visto all’opera ogni qual volta – dall’Irlanda, la Spagna e infine la Grecia – si è trattato di intervenire a sostegno dei pericolanti debiti sovrani o dell’eccesso di esposizione bancaria, da supportare con innesti di capitale pubblico. Attualmente questa struttura è composta dai ministri delle finanze dell’eurozona. E’ guidata dal managing director, Klaus Regling, tedesco. Ai relativi lavori “possono” partecipare sia il francese Pierre Moscovici, che Mario Draghi; ma senza diritto di voto.

Perché l’Esm? Per coordinare meglio – questa la tesi – politica monetaria e politica di bilancio. Piccola diabolica furbizia. Era stato Mario Draghi a sollecitare quella coerenza. Se il target della politica economica dell’Eurozona deve essere un’inflazione del 2 per cento, per combattere l’avvitamento deflazionistico; non vi può essere eccesso di liquidità dal lato della Bce e Fiscal compact dall’altro. Perché le due cose non stanno insieme. Saggezza avrebbe voluto che si cercasse una via di mezzo: tassi di riferimento leggermente più alti ed un po’ più di spesa pubblica, in investimenti, per rilanciare il ciclo economico. Equazione subito negata dai teorici dell’austerity, vista come punizione al semplice fatto di esistere.

Cavalcando questa giusta esigenza, la Buba propone di sbaraccare tutto o quasi e concentrare tutti i relativi poteri nell’ambito di un solo Organismo. Con un piccolo contentino per i teorici ad oltranza della democrazia e della partecipazione: la concessione di un eventuale aumento delle scadenze del debito per i Paesi sull’orlo del default, senza ripetere ciò che si è visto a proposito della Grecia. Ma grazie alla definizione di uno specifico “automatismo”. Tutto da inventare.

Pur così confezionata ed infiocchettata, la proposta non sembra dotata di particolare appeal. I limiti della politica economica europea sono visibili nell’eccesso di surplus delle partite correnti dell’Eurozona, al quale Paesi come la Germania e l’Olanda contribuiscono in modo determinate. Da questo accumulo di risorse finanziarie derivano gli impulsi deflazionistici che si ripercuotono sull’intero Continente. E hanno come contropartita il crollo di quegli investimenti pubblici, la cui dinamica potrebbe determinare la svolta ciclica indispensabile. Mettere Dijsselbloem al posto di Juncker, non solo non risolve ma aggrava il problema. Anche l’attuale Presidente della Commissione europea, essendo lussemburghese (altro Paese in forte avanzo commerciale) potrebbe avere qualcosa da farsi perdonare. Ma il suo ruolo, dopo l’investitura del Parlamento europeo, è tuttavia diverso. Deve inevitabilmente essere più autonomo e di conseguenza meno sensibile ai richiami dell’ortodossia. Per questo deve cadere – almeno questo l’auspicio – trascinandosi dietro gli altri eterodossi. Vale a dire Moscovici e lo stesso Draghi. Un sogno per gli irriducibili, un incubo per il resto dell’Europa.

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