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Il timbratore mascherato, lo scatolone della vergogna e il mestiere di dirigente

burocrazia,

E proprio quando si pensava di averle viste tutte, spunta il furbetto del cartellino con lo scatolone in testa. No, non è un film di Lino Banfi o l’ennesima riedizione di “Scemo e più scemo”. È la triste realtà del rubagalline di un comune della provincia di Napoli che, per timbrare per altri, si camuffa con uno “scatolo” in testa per non essere riconosciuto dalla telecamera piazzata dalle forze dell’ordine. Una vergogna.

Risultato? La più che legittima indignazione dei cittadini che si infuriano per il comportamento spregiudicato di chi non possiede neppure i requisiti minimi di onorabilità per servire lo Stato, soprattutto mentre la crisi morde in particolare chi se la passa peggio. Chissà se il Timbratore Mascherato sapeva, assieme ai suoi tanti colleghi indagati, sospesi o denunciati, che di lì a poco sarebbe entrata in vigore la nuova normativa che inasprisce le pene per le cricche come le loro e che, con giustizia biblica, punisce col licenziamento il dirigente che lascia fare. E chissà se le nuove pene limiteranno un fenomeno la cui reale diffusione è sconosciuta ma che, in ogni caso, è disgustoso e inaccettabile.

Personalmente, dubito che chi delinque in modo così sfacciato si farà intimorire dalle nuove norme. Chi arriva a mettersi una scatola in testa per continuare a timbrare per altri o andarsene al bar e consumare in tutta tranquillità il suo meritato cornetto e cappuccino, continuerà senza problemi. E assisteremo, magari, alla nascita della nuova schiatta dei dirigenti-casellanti, appostati alle entrate degli uffici a segnare scrupolosamente i via vai dei loro dipendenti, mentre le cose da fare attenderanno tempi migliori. Occorre, credo, interrompere questo circolo vizioso che rischia ormai di distruggere persino la speranza di una pubblica amministrazione che, assieme alle altre forze del Paese, si rimbocchi le maniche e faccia del suo per far ripartire il sistema Italia. Cominciamo dalle basi, allora. In ogni singolo caso che vede coinvolti i professionisti dello sgattaiolamento si vede chiaramente come vi siano macchinette per le presenze fissate al muro: si striscia e via, senza nessun problema. Bene, si piazzino dei tornelli e si abbatterà il problema del 99,9%, fatti salvi i geni del male che escogiteranno altre vie di fuga.

Attenzione però, non basta. Deve essere chiaro che pure incatenando alla sedia dipendenti e funzionari non avremmo garanzia alcuna del loro reale impegno sul lavoro. Serve che il dirigente faccia il suo vero mestiere: crei squadra con le donne e gli uomini che lavorano con lui per raggiungere i risultati che la politica stabilisce. Deve lavorare sulla motivazione, sulle dinamiche fra le persone del suo ufficio, avere una visione del cosa si fa e dove si punta ad arrivare, riuscendo a comunicarlo ogni singolo giorno col suo esempio. Deve, in altre parole, trasmettere il senso del lavoro che si è chiamati a compiere.

La PA – meglio, le tante PA di cui si compone l’amministrazione pubblica del nostro Paese – è una organizzazione complessa al pari di tante altre: occorre avere il coraggio di buttare a mare l’inossidabile immagine di un’amministrazione fordista che sopravvive nelle nostre teste, mentre i modelli organizzativi nel mondo intero sono in piena rivoluzione. Non per noi, ancora fermi allo Charlot che avvita bulloni alla catena di montaggio. Quando capiremo che chi lavora non è un robottino che, per il sol fatto di premere il bottone sulla sua schiena, compie l’azione desiderata, potremo cominciare a cambiare le cose e, da subito, creare gli anticorpi per prevenire situazioni come quelle di cui troppo spesso leggiamo sui giornali. È una battaglia che non si vince – solo – sfornando nuove norme: è bene tenerlo a mente anche al prossimo travaso di bile.

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