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Perché secondo me la Turchia non deve far parte dell’Unione europea

Lingotto, 5 stelle, molestie

Non so se, e fino a che punto, la storia sia, come suol dirsi, maestra di vita. Fatto sta che c’è una costante che pur qualcosa dovrebbe insegnarci: il popolo, armato di sano intuito e buon senso (e non solo di umori viscerali come vorrebbe certa propaganda), ha quasi sempre fatto scelte più giuste e lungimiranti delle cosiddette élite. Soprattutto quando esse hanno assunto le sembianze di professori prestati alla politica, tecnici, “competenti”.

A mio modesto avviso, credo che la bocciatura del progetto di Costituzione europea da parte di francesi e olandesi possa essere ascritta a questa dialettica. Quella carta rifletteva infatti l’idea che è alla base del progetto europeo così come è venuto delineandosi e che ne spiega anche l’impasse odierna e le contraddizioni in cui è incorso in questi ultimi anni.

Una Costituzione non può reggersi infatti se non c’è uno spirito comune ai cittadini che dovrebbero riconoscersi in essa. E questo spirito non può essere dato dalla semplice adesione a regole formali, parametri da rispettare, leggi da preservare o promuovere. Tutto questo, se del caso, verrà poi come naturale conseguenza. Prima però è necessario trovare degli elementi morali, culturali, spirituali, da condividere. Ritrovarli nella comune storia e tradizione.

Paradigmatico è il caso dell’ingresso della Turchia nell’Unione: prima promesso (tanto da creare soverchie illusioni), poi negato per considerazioni di carattere politico e utilitaristico (ad esempio demografiche), ultimamente riportato in vita (seppur non come esito immediato) ancora per motivi utilitaristici (la Turchia come “polizia di frontiera” di un’Unione incapace di gestire la marea dell’immigrazione). Fino alle minacce di questi giorni da parte della Merkel: qualora la Turchia reintroducesse la pena di morte, i negoziati si interromperebbero ipso facto.

Ove è ancora l’Europa dei parametri che ha la meglio sull’Europa della coesione morale, seppur dialettica e in progress come è ogni identità immersa nella storia. È l’idea astratta, di derivazione illuministica, di un “patriottismo costituzionale”, elaborata fra gli altri da un tardo epigono del marxismo come Jurgen Habermas e fatta propria in questi anni, con più o meno forte consapevolezza, dalle élite di Bruxelles e Strasburgo. Tanto più astratta in un continente con forti agglomerati nazionali, con identità sedimentatesi nei secoli.

In quest’ottica retrospettiva assume un certo rilievo la discussione che precedette e accompagnò l’elaborazione della mai promulgata Costituzione europea: una discussione che non a caso portò a eliminare l’accenno alle “radici cristiane” del nostro continente dal preambolo della nuova Carta. Insistere su quelle radici non avrebbe certo significato, in un continente fortemente secolarizzato (ma anche la secolarizzazione è per molti aspetti figlia del cristianesimo), l’imposizione erga omnes dei dogmi cristiani, come da parte da alcuni si volle far credere. Avrebbe semplicemente messo in luce, in un’ottica storicistica e non illuministica, ciò che accomunava le varie identità nazionali e su cui sarebbe stato poi possibile costruire una identità comune europea.

In quest’ottica, che guardava non alle leggi e ai regolamenti ma alla storia e alla tradizione, che in quanto tali non sono mai nulla di statico o definitivo ma che pure non fanno “salti”, con un Paese come la Turchia, non si sarebbe dovuto da subito iniziare nessuna trattativa. Per motivi storici e culturali, per il fatto appunto che la sua storia non è stata forgiata, come quella europea, dall’elemento cristiano. A cui essa si è anzi sempre opposta.

Aver ben chiaro questa situazione, aver quel senso della storia che le élites tecnocratiche dell’Europa hanno perso, avrebbe evitato le contraddizioni poi sopraggiunte. Lo scopo doveva essere solo quello di allargare sempre più le relazioni e i rapporti, di far fruttare al massimo un rapporto di buon vicinato. Ciò per il bene dell’Europa, il cui perimetro ideale sarebbe stato da subito ben definito e la cui identità si sarebbe posta in modo forte, sia per l’eventuale e ulteriore evoluzione democratica della stessa Turchia, che avrebbe avuto alle frontiere un alleato e non un potenziale nemico.

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