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Cosa succederà ai prezzi del petrolio con la riunione dell’Opec in Algeria

Lo scetticismo degli analisti sull’esito degli incontri dell’Opec a settembre sta spingendo al ribasso le quotazioni del petrolio. II Brent, tornato sotto i 50 dollari al barile, ha lasciato sul terreno due giorni fa 1,45 dollari portandosi a quota 49,43 dollari, mentre il Wti ha ceduto 1,47 dollari a 47,05 dollari, dopo aver toccato un minimo di 46, 81 dollari. Una brusca inversione di rotta rispetto alla tendenza al rialzo della scorsa settimana. Le speranze su una distensione diplomatica tra i produttori per arrivare a un tetto sulla produzione si sono affievolite.

LA MOSSA DELL’IRAQ

L’Iraq ad esempio, secondo maggior produttore dell’Opec dopo l’Arabia Saudita, aumenterà le esportazioni di 150.000 barili al giorno. Un incremento del 5% frutto degli accordi per la ripresa dei bastimenti da Kirkuk. E a ciò si aggiungono le aspettative sulla ripresa delle esportazioni dalla Nigeria, il cui ministro per il petrolio, Emmanuel Ibe Kachikwu, si è detto «poco ottimista» sull’ipotesi di un accordo tra i produttori. La crescita a tripla cifra delle esportazioni di prodotti raffinati dalla Cina è infine vista come una prova del persistere di eccesso di offerta.

LE PREVISIONI SULLA RIUNIONE OPEC

La possibilità di un’intesa nel corso della riunione informale del cartello che si terrà il mese prossimo in Algeria in occasione dell’International Energy Forum è considerata «altamente improbabile» da Morgan Stanley. La banca d’affari ricorda come i mercati considerino l’Opec alla stregua dei banchieri centrali del petrolio, pertanto scrive il responsabile energia, Adam Longson, qualsiasi voce che proviene dall’organizzazione li può smuovere. Secondo quanto trapela dai comunicati della stessa organizzazione, «ci sono troppi venti contrari e difficoltà logistiche per un accordo».

LE STIME DI MORGAN STANLEY

Inoltre, anche qualora si dovesse raggiungere l’ok per congelare la produzione, tale misura sarebbe poca cosa per i mercati internazionali. Longson aggiunge infine che probabilmente sono state male interpretate le dichiarazioni del ministro saudita Khalid Al-Falih sulla necessita di prendere azioni necessarie a ribilanciare il mercato, collaborando con i Paesi Opec e con i maggiori produttori non inclusi nel cartello. Prese di posizione che i sauditi hanno ribadito in passato senza però prendere impegni precisi. Solleva dubbi anche Jp Morgan che assegna all’ipotesi di porre un tetto alla produzione un 35% di possibilità. Per essere più fiduciosi servirebbe infatti maggiore convinzione da Paesi chiave come Russia e Iran.

I REPORT DELLE BANCHE D’AFFARI

Chi invece vede Ryad più propensa a un’intesa sul congelamento è Pvm brokerage, che motiva la decisione con timori riguardanti la stabilità politica, fondata anche sul benessere garantito dagli introiti petroliferi. Bnp Paribas ha a sua volta tagliato le stime sul petrolio per i prossimi tre trimestri. Nel dettaglio, gli esperti ora vedono il Wti su una media di 42 dollari al barile nel 2016 e di 49 dollari nel 2017.

(Estratto di un articolo pubblicato su MF/Milano Finanza)

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