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Come uscire dall’agonia economica in Occidente?

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Sparare sul pianista serve a poco. Il duro intervento del Wall Street Journal alla vigilia del tradizionale incontro di Jackson Hole, dove si riunisce il gotha della grande finanza, qualcosa, tuttavia, dimostra. Non esistono più santuari inespugnabili. Di fronte alla crisi dell’economia internazionale, nemmeno la Fed – la Banca centrale americana – è esente da attacchi. Sebbene, fino a qualche anno fa, fosse considerata il “verbo” del pensiero economico dominante. Ed i suoi vertici – si pensi ad Alan Greenspan – infallibili semidei.

Che cosa è cambiato? Il sospetto che le vecchie ricette non funzionano più. Inondare il mercato di liquidità, come si è visto, non ha prodotto la spinta necessaria per la ripresa economica. E si è tradotto in una falcidia per il risparmio: grande o piccolo che sia. In Italia non siamo arrivati al paradosso degli interessi negativi sui depositi bancari, come in Germania. Ma poco ci manca. Basta analizzare il proprio conto corrente e si vedrà che, a fine anno, le spese di gestione sono ben superiori agli interessi percepiti.

C’è un grande sconfitto in questa vicenda. Keynes riteneva che per accrescere il rendimento del capitale, investito in modo produttivo, era necessario giungere all’eutanasia del rentier. Ci siamo già, ma questo non è servito. Il perché é difficile da spiegare. Sono altri – si dice – i fattori che guidano lo sviluppo: dalla demografia alla natura del progresso tecnologico. Tutto vero: ma perché, fino a ieri, questi vincoli sono stati superati?

E’ bene non girarci intorno. Le principali difficoltà sono di natura politica. La grande riconversione economica, che sarebbe necessaria ed indispensabile, richiede una coesione sociale che non esiste in alcun Paese occidentale. Stati Uniti compresi. Come mostrano le ultime vicende per le elezioni presidenziali. Cani e gatti, con opposte piattaforme politiche. Chiunque vincerà avrà contro la metà del Paese. Ed a lasciarci le penne, com’é avvenuto per Obama, sarà gran parte del ceto medio meno professionalizzato.

Come europei abbiamo il vantaggio di un vissuto millenario. Sappiamo, pertanto, che per vincere é necessario individuare soggetti portatori di un interesse particolare destinato, tuttavia, ad incarnarne uno più generale. Così è stato durante la rivoluzione francese. Il Terzo Stato altro non era che un pugno di borghesi contro i privilegi del clero e dell’aristocrazia. Capaci, tuttavia, di creare quell’ambiente nuovo destinato a segnare i secoli a venire.

Così é stato per Marx, quando ha visto nella borghesia il soggetto che doveva creare le basi materiali di una società storicamente superiore. Le difficoltà odierne nascono dal fatto che, attualmente, non è possibile raccogliere quella stessa borghesia, oggi assolutamente maggioritaria, sotto un’unica bandiera. Troppi gli interessi in conflitto. I modi di vedere e di leggere una realtà cosmopolita, qual’é quella che si è sviluppata sotto la pelle della globalizzazione.

Compito della politica, allora, è individuare un nucleo sociale. Un perno su cui far leva per sviluppare politiche di sviluppo. Che non sono indolori. Come non lo furono quelle del periodo della “Ricostruzione”, dell’immediato dopo guerra. Bisogna avere il coraggio di individuare alcune priorità è perseguirle con tenacia, nel tempo necessario, senza subire l’assillo della congiuntura. Non è un’operazione facile. Ma il primo Paese, in Occidente, che ne sarà capace, uscirà dalla lenta agonia. Che é la caratteristica di questo nostro tempo.

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