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Chi deve mettere in salvo l’Italia dai terremoti? Lo Stato o i privati?

Lingotto, 5 stelle, molestie

Può lo Stato obbligare un privato a costruire la propria abitazione con le più ferree regole antisismiche? Non viene meno in questo modo una delle libertà fondamentali: cioè quella di disporre in modo autonomo delle proprie risorse e della propria proprietà privata?

La domanda, a tutta prima, suona irriverente, forse anche offensiva. Credo però che, proprio per rispetto dei morti, di questo e degli altri terremoti, vada posta con il rigore e la radicalità che è propria delle domande filosofiche. Credo che il bandolo della matassa speculativa possa essere un po’ dissolto se teniamo fermo l’aureo principio kantiano che la libertà di ognuno di noi finisce ove comincia quella degli altri.

Non credo, in verità, che considerazioni di tipo economico, come ad esempio i costi che in caso di calamità lo Stato deve sopportare, pur importanti, possano raggiungere il livello dei principi ove qui voglio portare le mie considerazioni: lo Stato è una costruzione umana che gestisce l’uso legittimo della forza ed eroga prestazioni in modo variabile e dipendente dalle condizioni storico-sociali; non è un’entità morale, o come si dice “Stato etico”.

Le considerazioni morali non sono poi campate in aria nemmeno da un punto di vista empirico, sol che si pensi al fatto che in molti, soprattutto nelle zone più degradate del nostro Paese, alzano colonne e rendono precariamente abitabili le loro abitazioni pur di avere un tetto di proprietà ove dormire.

Ma ritorniamo alla libertà umana. Ognuno, da un punto di vista liberale, deve avere persino il diritto di autodistruggersi, di mettere a repentaglio la propria vita, con comportamenti e azioni, ma non può, pena la contraddizione kantiana, imporre il sacrificio umano a chi non lo vuole o a chi è costretto a subirlo in modo inconsapevole. Ecco il punto.

Le case sismicamente non compatibili non distruggono solo le vite degli irresponsabili, ma anche quelle degli innocenti. Lo Stato, il cui compito in età moderna è proprio quello di dare una regola all’esercizio dei liberi arbitri umani, ha il diritto, e anzi il dovere, di intervenire, ove questo pericolo, in modo diretto o indiretto, possa manifestarsi.

Ma veniamo al concreto. Considerando il fatto che l’adeguamento sismico ha un costo, e che è questo quello che spesso porta i proprietari a una sorta di azzardo o calcolo morale, come è possibile venire loro incontro? E’ compito dello Stato trovare e gestire le risorse adatte all’uopo? Non è forse vero, come la nostra storia recente ci insegna, che i grandi interventi e le grandi intermediazioni statali significano dispersione di risorse, utilizzo inefficiente o non razionale delle stesse, corruzione? Oltre che un indiretto aumento della tassazione generale, che come è finalmente da molti riconosciuto è il vero freno alla nostra crescita generale?

Credo che per dare una risposta a queste legittime preoccupazioni si possa ripartire dalla vasta solidarietà manifestata in questi giorni dagli italiani. La solidarietà ha questo di bello: è fatta ex post, non ex ante; è cioè una libera scelta e non una imposizione di fatto. Io credo che gli italiani possano farsi tutti promotori di una sorta di “fondo di solidarietà”, incrementabile negli anni, senza sfigurare.

Questo fondo potrebbe essere reso facilmente monitorabile nella sua consistenza e nei suoi costanti incrementi, che le persone ben disposte contribuirebbero a stimolare in ogni tipo di occasione. Un po’ come accade con il montepremi di una lotteria o quanto altro. Oggi gli strumenti informatici non mancano. Esso andrebbe poi assegnato direttamente alle comunità secondo una proporzione individuata in base alla “mappa geologica” di cui pare ci siamo finalmente dotati. Allo Stato resterebbe quasi solo il compito di controllare il processo. Il quale ricadrebbe si svolgerebbe integralmente al livello sociale. La società infatti, oltre ad essere il punto di intersezione fra Stato e cittadino, è in definitiva la vera dimensione del liberalismo. Ce lo hanno insegnato i classici, almeno da Tocqueville in poi.

Lo slancio di questi giorni mostra ancora una volta, a dispetto dei pessimisti, che quanto a “capitale sociale” tutto sommato non stiamo messi tanto male. Ripartiamo da qui.

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