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Bce, tutti gli effetti dei tassi negativi

MARIO DRAGHI BCE

E se la politica dei tassi d’interesse negativi fosse controproducente? La domanda se la pone il Wall Street Journal, senza dare una risposta univoca. Dall’11 giugno 2014 la Bce ha portato sotto lo zero i tassi sui depositi delle banche commerciali presso lo stesso istituto di Francoforte (attualmente sono a -0,40%). L’obiettivo sarebbe quello di spingere consumatori e aziende a spendere e investire, visti i conseguenti bassissimi o addirittura negativi rendimenti dei conti correnti e degli asset più sicuri come i titoli di Stato. Questo dovrebbe stimolare la domanda di beni di consumo, aumentare l’inflazione e stimolare la crescita economica. Ma i fatti dicono che non è successo niente di tutto questo (dopo due anni la politica dei tassi negativi avrebbe dovuto in effetti cominciare a dare qualche frutto). In Germania, Giappone, Danimarca, Svizzera e Svezia, tutti Paesi dove i tassi sui depositi sono negativi, il tasso di risparmio è addirittura salito. I banchieri centrali, insomma, si sono presi una solenne bocciatura dai risparmiatori.

A titolo d’esempio, il Wall Street Journal cita Heike Hoffman, 54 anni, fruttivendola in una cittadina tedesca. Per lei i tassi sotto zero sono una «follia». La fruttivendola si rivela una cittadina informata perché, rivela, non appena la Bce ha adottato la decisione due anni fa, ha subito ridotto le spese, messo da parte più denaro e comprato oro. «Ho bisogno di risparmiare più di prima per avere abbastanza soldi quando andrò in pensione», spiega la Hoffman. Forse a Francoforte non sono dei grandi psicologi. Forse pensano che i tedeschi si siano americanizzati al cento per cento, pronti a indebitarsi fino al collo pur di comprare l’ultimo bene di consumo alla moda. Un’analisi più sofisticata la offre Andrew Sheets, capo strategist di Morgan Stanley: «La gente si indebita e spende di più solo quando ha fiducia nel futuro. Con i tassi negativi siamo entrati in un territorio inesplorato, questa politica nei fatti mina la fiducia». «Il segnale per il consumatore è che qualcosa sta andando storto, è una misura da tempi di crisi», rincara la dose Carl Hammer, capo delle strategie valutarie della banca svedese Seb.

La fruttivendola tedesca sarà certamente all’oscuro dei ragionamenti sofisticati della finanza, ma di sicuro i conti li sa fare. E ha ragione di temere per la sua pensione. Secondo i dati della Bce, i pagamenti degli interessi sui conti correnti sono al livello più basso dal 2000 nell’intera Eurozona. E come sottolinea Hans Joachim Reinke, ceo di Union Investment, all’inizio degli anni 90 a un risparmiatore tedesco ci volevano nove anni per raddoppiare il proprio capitale grazie al cumulo degli interessi, mentre oggi per ottenere lo stesso risultato dovrebbe aspettare 500 anni. Come tutti sanno, inoltre, i fondi pensione e i pensionati sono soliti investire in titoli di Stato, considerati asset sicuri. Ma oggi 12 mila miliardi dollari in bond hanno rendimenti negativi, mentre solo tre anni fa non ce ne era in circolazione nemmeno uno. I risultati sono immaginabili e fanno tremare la fruttivendola tedesca (ma anche quella italiana). Per fare un esempio, i rendimenti di Sampension, il fondo pensione degli statali danesi, sono scesi allo 0,2%, lontanissimi dal 3,5% necessario per mantenere i livelli delle pensioni attese dai suoi iscritti.

Ovviamente alla Bce la vedono in modo diverso. Secondo il membro del Consiglio direttivo Benoit Coeuré, i tassi d’interesse e negativi «si stanno rivelando efficaci nel sollevare l’inflazione verso i suoi obiettivi a medio termine e nel ridurre il livello complessivo di rischio nell’economia». Legittimo chiedersi che livelli abnormi di deflazione ci sarebbero senza i tassi d’interessi negativi, visto che a luglio l’inflazione in Eurolandia era a +0,2%, lontanissima dall’obiettivo di un livello poco inferiore al 2%. Il presidente della Bce, Mario Draghi, fa invece notare che, prendendo in considerazione l’inflazione, il tasso che spetta oggi ai risparmiatori è più alto di quello medio degli anni 90. Mentre Peter Praet, capo economista dell’Eurotower, invita invece a focalizzare l’attenzione sui debitori, che sono più inclini a spendere dei risparmiatori e, con i tassi ultrabassi, vedono aumentare il reddito disponibile. Così, per un incredibile paradosso, la Bce basata a Francoforte e modellata sulla vecchia Bundesbank oggi premia le cicale e bastona le formiche. E lo rivendica con orgoglio.

(Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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