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Gli esiti della Buona scuola (Buona per chi?)

(Seconda parte. La prima si può leggere qui)

Questo dunque è il compimento della Buona Scuola. Buona per chi? Per inciso: la legge 107/15, negli aspetti gestionali e amministrativi tenta di inserire nella scuola pubblica statale tutte le modalità che la scuola paritaria attua da decenni (o forse secoli?) e che si sono rivelate vincenti nel successo formativo degli alunni… parola di alti dirigenti del MIUR: “Abbiamo copiato pari pari l’impianto delle scuole pubbliche paritarie”. Per essere onesti e dirla tutta: da parte di qualcuno, assai attivo in certi sindacati, si è applaudito a questa migrazione di docenti dalla pubblica paritaria (“privata”, per citare fedelmente l’aggettivo che dimostra l’ignoranza più crassa) alla scuola pubblica statale, perché, si sa (sic), nella privata (intendasi paritaria) i docenti sono sfruttati (!).

Eppure la Legge 62/2000 parla chiaramente di Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. E tali sono. Diamo per scontato che lo 0,04% delle scuole paritarie non in linea con il Tesoro e il Fisco devono essere stanate e distrutte dagli ispettori ministeriali, che su di loro spargeranno il sale. Occorre allora spiegare come mai i docenti che non volevano abbandonare la scuola paritaria, sapendo di finire in un marasma burocratico che spegne il cervello, si sono trovati davanti a una “non scelta”: eh sì, perché chi ha figli, fatti due conti, deve andare dove riceve uno stipendio maggiore, soprattutto se insegna materie che non permettono di raggiungere le 18 ore in una scuola monosezione.

Ma ovviamente per i politici, i sindacati, i gestori dei software amministrativi, il valore e la soddisfazione dei docenti della scuola pubblica paritaria, come pure la loro capacità professionale, sono ininfluenti. Malignità: conviene ammazzarle, queste scuole pubbliche paritarie che funzionano bene, i cui docenti sono valorizzati e lavorano sodo, da cui escono alunni ben preparati e richiesti nelle scuole pubbliche statali e nelle Università… a costo zero per i contribuenti. Troppo difficile trovare una soluzione intermedia (in attesa della libertà di insegnamento e di scelta educativa della famiglia, sul modello europeo) per evitare uno scempio a inizio anno per il 10% degli studenti Italiani: ad esempio la possibilità per i docenti di rimanere fino al termine dell’anno scolastico in compresenza su scuole pubbliche statali e pubbliche paritarie. Macchè! Troppo difficile configurare il cedolino…

Ancora un esito della Scuola, Buona solo per una parte dei docenti della pubblica: il bonus di 500 euro per i soli docenti della scuola pubblica statale (i sei miliardi di euro all’anno che la scuola pubblica paritaria regala allo Stato non sono sufficienti?), nel silenzio assordante dei sindacati; il piano per la digitalizzazione previsto per la sola scuola pubblica statale (già, l’altra no, non fa un servizio pubblico… peccato che ciò sia chiaramente esplicitato dalla corte costituzionale), perché accetta tutti senza discriminazioni. E’ esattamente ciò che la L. 62/2000 afferma anche per la scuola paritaria che deve accogliere tutti: portatori di handicap, DSA, BES, con un bel vantaggio per lo Stato e comunque con grande soddisfazione dei genitori, anche a ISEE zero, perché i loro figli svantaggiati hanno un servizio che altrove si sognavano…

A tutto questo rocambolesco percorso si aggiungono le assurdità della normativa scolastica “standard”: il CLIL, ad esempio, costerà un patrimonio alla scuola pubblica statale (cioè ai contribuenti) e sfornerà alunni di ignoranza ineguagliabile, anche universitari. Un professore di matematica bilingue di una famosa università del Nord Italia constata che a parità di spiegazioni da lui impartite in perfetto italiano e in perfetto american english, gli alunni del corso di italiano hanno risultati notevolmente più brillanti dei loro colleghi italiani che frequentano la sezione in inglese. Nulla a che vedere. Ma il danno si fa al liceo: si pensi alle inutili lezioni di arte o di scienze infarcite di ppt preconfezionati, dove il docente non si scolla dalla lettura delle slides, oppure allo spreco dei docenti conversatori nei linguistici: per la scuola statale basta che siano diplomati perché assunti come lettori in compresenza con il docente titolare: prendi uno, paghi due: un esborso economico che la scuola paritaria non si può certo permettere. E che è ingiusto e insipiente in sè.

Queste, al di là dei propositi e delle promesse (ah, Pinocchio!), sono alcune delle disfunzioni e delle autentiche ingiustizie causate dai cambiamenti innescati dalla “Buona scuola”. Purtroppo non saranno le ultime, visto lo stato di agitazione permanete dei sindacati in riferimento agli elementi di maggior valenza innovativa come la premialità, la chiamata per competenze certificate e non per anzianità, l’inserimento di genitori e studenti nel comitato di valutazione perché dicano la loro sulla qualità del servizio ricevuto… proprio queste sono le vere novità! Ancora una volta si rischia di vanificare le migliori enunciazioni pedagogiche e funzionali a causa delle più banali convenienze corporative e burocratiche. La buona scuola pubblica, statale e paritaria, intesa come comunità di docenti e famiglie, in cui ogni elemento concorre per le sue competenze al successo formativo degli allievi, si attende che, viceversa, si tenga fede all’impegno per una scuola che sia “buona” anzitutto per ragazzi e genitori, senza i quali la scuola è inutile e perde la sua motivazione fondante. Certo è che per essere “buona” deve essere “liberamente scelta”.

La badante ad ore senza marito non può essere costretta a iscrivere suo figlio H in una scuola pubblica statale, perché non ha i mezzi per scegliere la pubblica paritaria (per inciso: il costo standard della paritaria è di gran lunga inferiore a quello che costerebbe il figlio allo Stato, cioè ai contribuenti). Se ciò fosse (per ora è), forse è il caso che l’Europa sia stimolata ad una eventuale terza risoluzione per la libertà di scelta educativa oggi assente in Italia. Qualcuno raccolga l’ingiustizia resa alla povera donna di cui sopra (i sindacati non lo faranno? Non si lamentino poi del calo degli iscritti), si contino migliaia di firme e qualcuno si affidi ad un pool di avvocati amministrativisti che portino il “caso Italia / libertà educativa” in Europa. È l’unico modo possibile per smuovere le acque ed evitare la peggiore statalizzazione possibile dell’istruzione in pochi anni, un sistema a vicolo cieco in cui lo Stato sarà pessimo gestore e controllore di scuole. Morte civile.

 

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