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Perché non concordo con Marcello Pera sulla bontà della nuova Costituzione

Conosco da anni e stimo il presidente Marcello Pera. Penso, allora, di potermi permettere (con un’unica grande Puntura quotidiana) di dissentire da quanto viene  sostenuto nell’articolo (che Formiche.net ha ripreso da Italia Oggi) in cui Pera ha spiegato le ragioni per le quali voterà Si nel referendum. Anzi, devo ammettere che le sue autorevoli argomentazioni rafforzano in me l’orientamento ad esprimermi in modo negativo.  A parte l’apertura di credito – di cui porta solo lui la responsabilità –  per Maria Elena Boschi (che viene definita un ‘’talento politico’’, uno dei pochi nati in questi ultimi anni), Pera non esita ad evidenziare alcuni limiti – a suo avviso gravi – del processo di revisione costituzionale, al punto da elencarli uno per uno. Eccoli: ‘’Ad esempio – scrive Pera – sulla modalità di rappresentanza delle regioni e dei sindaci, sul rimpallo fra le due Camere, sull’immunità, sull’intervento della Corte costituzionale nel processo legislativo, un autentico mostro che viola il principio della divisione dei poteri e avrà come effetto quello di limitare la sovranità parlamentare e di trasformare la Corte in un organo eminentemente politico, ancorché opaco, perché non fa conoscere le sue maggioranze e minoranze’’.

Non mi sembrano rilievi critici di scarso peso anche se Pera li attribuisce più che al Governo e al suo testo iniziale, alle modifiche introdotte durante l’iter parlamentare (dimenticando, però, che il Governo non ha esitato ad imporre alle Camere la sua linea di condotta nella generalità dei casi). Consapevole di tali limiti, l’ex presidente del Senato ricorda che, in ogni caso, c’è sempre di mezzo una giurisprudenza costituzionale che può aggiustare le situazioni ambigue. Ma proprio qui (absit iniura verbis) casca ….l’asino.

Secondo Pera, infatti, il nuovo testo, se approvato, ‘’ parlerà per ciò che espressamente dice e per ciò che la consuetudine e la giurisprudenza gli faranno dire. In questo secondo caso, importante come il primo, il testo dirà bene o dirà male, come è accaduto a quello della Costituzione del ’48’’. E aggiunge, implacabile: ‘’Per fare un esempio negativo, di cui soffriamo conseguenze esorbitanti che neppure i Presidenti della Repubblica riescono a correggere: avrebbero mai immaginato i vecchi costituenti che il Consiglio superiore della magistratura, di cui essi fissarono precisamente con un elenco chiuso le competenze, si sarebbe trasformato in un mercato nel tempio? Oppure – continua la requisitoria –  che la Corte costituzionale avrebbe dichiarato incostituzionale una legge elettorale, delegittimato Parlamento e governo, introdotto un sistema elettorale che gli italiani avevano dichiarato di non volere, e tutto sulla base di un ricorso individuale? Oppure, ancora, che la stessa Corte, con sentenze additive, diminutive, correttive, o semplicemente fantasiose, avesse spesso deliberato con motivazioni palesemente politiche, in nome di un “principio di ragionevolezza” spuntato Dio sa da dove?’’.

Marcello Pera ha ragione nell’individuare questi  cattivi esempi. Ma, di grazia, potremmo domandare noi, se essi sono da iscrivere tra i ‘’mali’’ della Repubblica in che modo e in che cosa la (contro)riforma Boschi si sforza di superarli?  Ha un senso, allora, cambiare una cinquantina di articoli girando al largo dai temi più spinosi e critici ? E rendendo persino ‘’costituzionale’’ quel giudizio preventivo da parte della Consulta che Pera stigmatizza con tanto vigore? L’ex presidente una risposta ce l’ha: ‘’ ogni testo costituzionale, compreso quello vigente e compresa la sua parte prima, che si fa finta di considerare “sacra”, ha sempre qualche pecca, lacuna, ambiguità, a cui talvolta pone rimedio la prassi materiale delle istituzioni, la quale è come la vita degli uomini, che si correggono, si adattano alle circostanze, si modificano, a seconda di nuove situazioni impreviste o nuovi fini sopraggiunti. Questo per dire che non è sulle singole pecche che si potrà giudicare la riforma costituzionale, ma sul suo senso di innovazione complessiva’’.

Ma se è la prassi, se è la concreta applicazione – che si evolvono nel tempo e si adattano alle nuove condizioni politiche, economiche e sociali – per quali motivi si è voluto adottare un disegno di revisione così ampio? In fondo, la giurisprudenza costituzionale è riuscita anche ad assestare gli squilibri determinati dalla riforma sciagurata del Titolo V, la cui vicenda dimostra quanto siano perniciosi gli interventi sulle istituzioni approssimativi e sbagliati, dettati solamente da esigenze di carattere politico (allora la chimera del federalismo, poi passata di moda). Pera a questa punto gioca l’asso della ‘’semplificazione delle istituzioni’’. Sembra la storia del millepiedi che si reca dal gufo per trovare una soluzione al tragico destino di avere tutti i giorni una gamba dolente. E il gufo gli suggerisce di diventare un pollo per abbattere drasticamente il calcolo delle probabilità di zoppicare. Pera è stato presidente del  Senato e sa benissimo che sarebbe bastato cambiare i regolamenti delle Camere – anche in un regime di bicameralismo paritario – per dare una maggiore efficienza al processo legislativo.

Mentre è profondamente sbagliato, come fa la legge Boschi, elevare al rango costituzionale  norme di carattere regolamentare (lo stesso errore che fece la riforma del Governo Berlusconi). Venenum in cauda, le conseguenze sul piano politico di una vittoria del No.  ‘’Si produrranno – secondo Pera – due conseguenze. La prima: una paralisi politica senza sbocchi, pericolosa per la democrazia. La seconda: una crisi finanziaria gravissima anch’essa foriera di avventure antidemocratiche. È accaduto che il presidente del Consiglio si sia speso per le riforme, che l’Europa lo abbia preso sul serio dandogli un po’ di ossigeno, che i mercati lo abbiano apprezzato risparmiandogli turbolenze. Un passo indietro (sul genere “abbiamo scherzato”) ci provocherebbe una tensione con l’Europa e una sfiducia dei mercati: chi ci ha dato più flessibilità, la rivorrebbe indietro, chi già ritiene che il nostro debito pubblico sia ai limiti della sostenibilità, lo giudicherà non più sopportabile e ci chiederà il rientro.

A quel punto – tuona ancora l’ex presidente – soprattutto se l’Unione europea avrà superato indenne il terrore della Brexit, sarà con noi gentile e spietata: gentile, perché ci concederà forse la libertà di trovarci da soli un presidente del consiglio, spietata, perché, a chiunque egli sia, metterà in mano tre cartelle da leggere in parlamento. Insomma: sovranità politica perduta, code ai bancomat, troika. Dove si è già visto?’’. Di fronte a questi presagi a tinte fosche io rispondo ‘’magari!’’. Ben venga un altro Governo tecnico, imposto dalla Ue, che mandi questa banda di ragazzini a giocare a calcetto, se maschi e a pettinare le bambole, se femmine. Se Renzi, a novembre, dovesse cadere si riapriranno tutti i giochi. E se gli elettori, caro Pera, voteranno in maggioranza No nel referendum ciò vorrà dire che il Senato elettivo e paritario – che tu hai avuto l’onore di presiedere – non è morto per il popolo italiano (anche se dovesse essere rieletto con il Consultellum). Per quanto mi riguarda, io auspicherei persino una resurrezione delle Province.

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