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Chi ha voluto (e perché) il referendum sulla riforma costituzionale

Benedetto Della Vedova, Riccardo Nencini e Giovanni Negri

Si fa un referendum di tipo confermativo per rimettere la scelta definitiva al corpo elettorale perché la Costituzione lo consente (art. 138.3) e perché tutti lo vogliono.

Lo vogliono coloro che in Parlamento si sono opposti al progetto poi approvato come hanno sempre detto; lo vogliono il Governo e la maggioranza per dare alla riforma stessa una importante – si potrebbe dire, necessaria – legittimazione popolare. Tanto più che la maggioranza per la riforma è frutto di una vittoria elettorale striminzita (alla Camera), di una lotteria di premi (al Senato), il tutto sulla base di una legge elettorale poi censurata a proposito del meccanismo di attribuzione dei seggi dalla Corte costituzionale (sent. 1/2014).

Se è assurda la tesi che – a causa di quella sentenza – il Parlamento avrebbe dovuto bloccare ogni attività riformista e magari essere sciolto sulla base di una legge elettorale fasulla (frutto casuale della vituperata legge Calderoli meno le parti fatte cadere dalla Corte: due punti che lasciavano in piedi molte altre incongruenze), è comprensibile e anzi auspicabile conferire alla riforma il crisma del consenso direttamente espresso da parte dei cittadini elettori.

Diciassettesimo di una serie di approfondimenti. Qui si può leggere il primo, qui il secondo, qui il terzo, qui il quarto, qui il quinto,qui il sesto, qui il settimo, qui l’ottavo, qui il nono, qui il decimo, qui l’undicesimo, qui il dodicesimo, qui il tredicesimo, qui il quattordicesimo, qui il quindicesimo, qui il sedicesimo. Qui si può leggere il testo completo.

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