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Con chi stanno gli americani al nord della Siria?

Venerdì sono circolate online le immagini di un gruppo di forze speciali americane scacciate da al Rai, una cittadina qualche decina di chilometri oltre il confine turco-siriano: a mandarli via è stata una fazione combattente dell’opposizione siriana alleata alla Turchia, ma qualche ora dopo gli americani sono tornati nelle loro postazioni. La vicenda probabilmente non sarà mai ufficializzata, dunque nella ricostruzione si è seguito ciò che si vede nelle riprese e filtrando i relativi commenti (per forza di cose di parte).

Innanzitutto: sono soldati americani per almeno due ragioni, la prima è che hanno tutto l’aspetto di esserlo (compreso un patch adesivo su una delle tute), la seconda è che i ribelli che li hanno cacciati li hanno apostrofati con insulti del genere “maiali invasori”, “crociati”, “infedeli”, “cani” e poi una voce al megafono che mentre i pickup delle special forces se ne andavano gli gridava dietro “non accetteremo nessun americano al nostro fianco” (le traduzioni sono state fatte dal sito Middle East Eye).

Partendo dall’ultima invettiva: i soldati americani, una trentina (i tweet scrivono 29 o 25, ma il numero è difficilmente verificabile) sono stati inviati dal comando statunitense a sostegno della terza fase dell’offensiva Scudo dell’Eufrate, che la Turchia ha lanciato il 24 agosto in coordinazione con alcuni ribelli fidati del Free Syrian Army per liberare un’ampia area al confine turco-siriano dalla presenza dello Stato islamico. La missione sta andando anche abbastanza bene, prima si è diretta con successo verso Jarablus, poi è scesa a sudest verso la cittadina di Al Rai e da lì ora punta verso Al Bab, che è ancora detenuta dall’IS, ma i baghdadisti starebbero abbandonando alcune postazioni come già fatto in precedenza. La città è ambiata da tutti gli attori del conflitto siriano: è nei target dello Scudo come in quelli dei curdi, e come ha spiegato il sito Al Monitor è strategicamente importante per il Califfato perché è la roccaforte che collega le aree della provincia di Aleppo controllate dai baghdadisti con quelle di Raqqa e Deir Ezzor.

Carta_Scudo_Eufrate

I turchi con Euphrate Shield hanno messo in campo una discreta potenza di fuoco, carri armati, blindati, alcuni soldati delle unità d’élite e caccia per i bombardamenti: la manovalanza militare è stata affidata invece ai ribelli, e sono stati proprio loro a cacciare gli americani, che sarebbero stati un ulteriore supporto all’intera operazione. Qui un passo indietro: Ankara da tempo chiede una sorta di zona cuscinetto sul proprio confine, vuole evitare che il conflitto siriano si avvicini troppo, vuole  mettere un freno al flusso continuo di militanti islamisti che entrano in Siria dalla porosa linea di separazione (questo flusso si è effettivamente ridotto a poche decine al mese, contro le migliaia di circa un anno e mezzo fa: finalmente, si potrebbe dire, pensando al fatto che fino a questo momento i turchi hanno chiuso più di un occhio, pensando a un piano più a lungo termine, e cioè rovesciare il regime siriano). Dal 24 agosto questa buffer zone, per dirla con un termine tecnico inglese, è stata di fatto creata, e rompe anche la linea di controllo che un’altra entità combattente si era ricavata durante la lotta allo Stato islamico, i curdi. I combattenti del Rojava, la realtà statuale che gli abitanti del Kurdistan siriano sognano, si sono visti prima attaccati dall’IS e poi hanno reagito recuperando il terreno perduto e prendendone altro: in questa reazione sono stati ufficialmente aiutati dagli americani, che hanno messo al fianco delle milizie locali, coadiuvate anche da realtà arabe, almeno 300 operatori delle forze speciali. Ma questo dispiegamento non è mai stato digerito dalla Turchia, che considera i curdi siriani terroristi perché alleati ideologici del Pkk e li ha inquadrati come bersagli in una più ampia campagna anti-terrorismo. L’operazione Scudo ha dunque un doppio fine, perché Ankara odia che al di là del proprio confine ci sia lo Stato islamico, tanto quanto detesta una presenza curda organizzata.

La questione delle forze speciali scacciate da Al Bab si inquadra in questo scenario. Erano stati Wall Street JournalWashington Post ad annunciare proprio venerdì la decisione del Pentagono di fiancheggiare l’operazione turca Scudo con 40 special forces (i numeri variano, s’è detto, fortuna non si tratta di una progettazione ingegneristica). Questa era un’idea che la Difesa americana discuteva da tempo con Ankara, ma su cui mancavano parecchi dettagli e c’erano diverse incomprensioni: una su tutte, la Turchia non voleva ambiguità, o con noi o con i curdi, ma gli americani sui curdi avevano scommesso molto – e francamente ottenuto anche parecchio, visto che sul campo si sono rivelati la più efficace forza anti-IS. Poi c’è stato il fallito colpo di stato a metà luglio, la reazione fredda statunitense da cui i rapporti tra i due paesi si sono incrinati, e a quel punto la Turchia ha deciso di avviare la ripulitura dell’ovest dell’Eufrate da sola. Uno scatto in avanti che ha preso di sorpresa Washington, che ha vissuto giorni di imbarazzo dovendo chiedere ai combattenti curdi finora sostenuti di mollare alcune aree che avevano sottratto all’IS insieme.

Gli Stati Uniti hanno in parte mollato i partner curdi per ricucire lo strappo con Ankara. Si scrive “in parte” perché pochi giorni fa è stato pubblicato un video che riprende i combattenti curdi siriani a Manbij, città liberata dall’occupazione del Califfato un paio di mesi fa. Lo speaker curdo del filmato racconta che ci sono insieme a loro anche gli americani, vengono ripresi anche se i volti sono tagliati. Per essere chiari: Manbij si trova ad ovest del corso dell’Eufrate, ossia in una zona dove i turchi non vogliono i curdi. Due giorni fa, un account di un attivista curdo assiduo di Twitter ha pubblicato invece delle immagini in cui si vedono bandiere issate sui tetti di un edificio di Tel Abyad, che si trova circa 160 di chilometri più a est, oltre al fiume: là la Turchia accetta (obtorto collo, ovviamente) la presenza curda, ma che gli americani abbiano issato bandiera per evitare la possibilità di finire sotto eventuali bombe curde è emblematico della dimensione del caos. Nota: non sarà piaciuto ad Ankara il fatto che quelle bandiere sono state riprese come un messaggio di appoggio politico nella sempre spinta propaganda del Kurdistan (nello stesso giorno, oltre l’altro confine, quello dell’Iraq, l’inviato della Casa Bianca per la Coalizione internazionale Brett McGurk era a Erbil a sostenere la necessità stabilizzatrice del Kurdistan unito, declinazione irachena, s’intende – s’intende?). Bonus: un comandante del raggruppamento di milizie soprattutto curde che combatte al nord siriano affiancato dagli americani, ha detto ad Al Monitor che Al Bab è uno dei loro prossimi obiettivi.

La vicenda di Al Rai pare chiusa, ma è indubbio che sia un segnale della situazione caotica – e su tutto si ricorda che sta immobile la fragile tregua in vigore dal 12 settembre (prima di altre considerazioni: le operazioni contro lo Stato islamico sono escluse dal cessate il fuoco). Tra l’altro quello che è accaduto venerdì scopre anche un peloso problema interno per Washington. I combattenti dell’Fsa che hanno inizialmente cacciato gli specialisti americani, provengono da un grande e articolato gruppo ombrello in cui sono inserite numerose fazioni con le quali gli Stati Uniti mantengono un canale di comunicazione aperto da anni. Sono i cosiddetti “ribelli moderati”, anche se mentre cacciavano gli americani gridavano “infedeli”. Sono quelli con cui c’è una sorta di coordinamento: ossia, sono la carta che l’Occidente ha usato per mettere pressione al regime siriano durante tutto il conflitto. L’Fsa è stato il primo gruppo ad avviare la resistenza armata contro Bashar el Assad e nel corso degli anni è stato avvicinato e incluso in un programma anti-regime di sostegno militare studiato e gestito dalla Cia, che ha fornito armi e addestramento, sfruttando delle postazioni logistiche in Giordania e in Turchia (con il sostegno di altri partner regionali: per esempio, il Qatar ci ha messo diversi dollari). Le forze speciali americane fanno invece parte di un altro piano, quello pensato dal Pentagono per combattere esclusivamente l’IS: gli operatori sono stati inviati in Iraq e al nord siriano, dove come detto forniscono sostegno ai curdi. Praticamente è successo che una delle milizia amiche a quelle armate dalla Cia ha scacciato gli uomini del Pentagono, e questo apre un questione interna, da mettere anche nell’ottica della futura collaborazione congiunta russo-americana: mentre le agenzie più politicizzate sono state possibiliste, i militari hanno espresso diverse riserve.

(Foto: Flickr)

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