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Gli italiani rapiti in Libia, e come raccontare le cose malamente

Ieri un importante quotidiano italiano a proposito di una dichiarazione riguardo alla sorte dei due connazionali rapiti qualche giorno fa in Libia, che potrebbero essere finiti in mano di al Qaeda, scriveva: “Lo ha detto il colonnello Ahmed al Masamari, portavoce dell’esercito che fa capo al governo di accordo nazionale di Fayez al Sarraj che controlla la zona di Ghat, luogo in cui è avvenuto il rapimento. L’alto ufficiale delle forze armate libiche – legate a Khalifa Haftar, generale di Tobruk – che ha rilasciato questa dichiarazione ieri sera sul portale libico Al Wasat, non spiega su quali elementi poggia questa notizia, che, al momento, resta una sua ipotesi”. È evidente che chi ha scritto questo pezzo non aveva la minima dimestichezza con le vicende libiche, altrimenti non si sarebbe mai sognato di accostare il nome di Masmari a Serraj, tantomeno – e soprattutto – avrebbe scritto che il portavoce di un fantomatico esercito del capo del governo di accordo nazionale (anche qui: l’esercito non c’è e lui è semmai il futuro, il designato premier, visto che l’esecutivo che ha proposto ancora non ha avuto riconoscimento definitivo) era un “alto ufficiale” al servizio delle “forze armate libiche legate a Khalifa Haftar”. Haftar detesta Serraj ed è il più grande ostacolo interno alla realizzazione definitiva di quel progetto di governo di accordo nazionale che viene veicolato dall’Onu e che Serraj stesso dovrebbe guidare. Pr chiudere: Masmari è il portavoce della milizia che risponde ad Haftar, e non ha niente a che fare con Serraj, anzi, gli farebbe la guerra.

Un altro aspetto da evidenziare è però il contenuto del pezzo in sé, ossia: ha valore riportare questo genere di notizia a margine di una vicenda così delicata e scivolosa come il rapimento di due civili, seguito passo passo da famiglie e Farnesina, soprattutto se il tuo lavoro è essere un sito di informazione di riferimento nel paese e non un giornale di gossip dal clickbait cronico? No.

Tant’è che il giornale stesso ha cercato di andare con lieve riguardo (“resta una sua ipotesi”), sebbene citare un’analisi, un’ipotesi di un “alto ufficiale” libico senza contestualizzare può aprire a quelle dichiarazioni una credibilità che di default potrebbe essere alta e che invece in questo caso specifico assume valore relativo, perché va ponderato chi è colui che parla e quali sono i temi su cui s’impernia la dichiarazione.

Masmari è il portavoce delle Lna, una milizia che ha la pretesa di definirsi Esercito nazionale libico, ma che di fatto rappresenta l’ala militare della fazione orientale, quella che fa capo al parlamento di Tobruk, base a Bengasi, segue gli ordini di Haftar, è complice delle mire egiziane sulla Libia e soprattutto ostacola il percorso unitario promosso dalle Nazioni Unite. Questo braccio militare si è lanciato, con una mossa da freelance di Haftar (prima è partito, poi ha ricevuto incarico ufficiale), in una campagna di liberazione della Libia dal terrorismo che ha preso il nome di Operazione Dignità e che è iniziata ufficialmente il 16 maggio del 2014.

Sotto questo obiettivo, Lna ha combattuto le milizie islamiste, definite univocamente gruppi terroristici, senza distinzione tra quelle più vicine alla Fratellanza, quelle ad Ansar al Sharia con deviazioni qaediste, quelle che si sono poi trasformate nell’IS o l’IS stesso: questo modo di vedere le cose è molto simile a quello dell’Egitto dei generali guidato da Abdel Fatteh al Sisi, dove chi non sta col presidente è un nemico da schiacciare, e infatti Haftar non fa la guerra soltanto allo Stato islamico, anzi piuttosto dà la caccia a tutti gli altri gruppi che non si riconoscono sotto il suo controllo, va da sé che siano i prolungamenti più orientali di quelli che si trovano sull’altro lato del paese e che una volta si riconoscevano nel governo di Tripoli – questo comportamento ancora è in piedi dopo anni, perché seppur forte, il suo wannabe-esercito non è riuscito a sconfiggere alcuni gruppi a Derna e Bengasi (dove c’era l’IS ma è stato più o meno scacciato, eccezion fatta per qualche sacca clandestina che ancora compie attentati).

Se quel quotidiano molto importante che ci fornisce “l’ipotesi” del colonnello “alto ufficiale” di Haftar tralascia questi riferimenti, ci dà una notizia alterata, perché si potrebbe anche essere portati a credere tout court all’analisi di Masmari, che essendo un militare di alto grado e stando in Libia può avere maggiori informazioni che noi da Roma. E invece va valutato e detto ai lettori che quando questi elementi parlano, lo si è visto in altre occasioni, deve essere tarata la propaganda: ed è questo, anche, il ruolo del giornalismo.

C’è, ossia, da dichiarare al lettore che quell’ipotesi “forse c’è al Qaeda dietro al rapimento” è frutto di una narrativa che va avanti da tempo e che ha come scopo 1) di attestarsi come i campioni della lotta al terrorismo agli occhi della comunità internazionale 2) spiegare che la propria missione, che in realtà segue una linea egemonica per il controllo della Libia (far vincere sul paese le istanze della Cirenaica), è sì sconfiggere i terroristi, ché sono il male della nazione, intendendoli però come tutti gli altri 3) alludere a possibili collegamenti tra i gruppi che fanno rapimenti, i contrabbandieri travestiti da terroristi, e quelli del potere tripolino, e chiudere il giro con il punto-1 ricavandosi spazio interno con le tematiche che interessano la Libia agli esterni.

Haftar ha basato a lungo la sua propaganda su questi aspetti, e per questo – con la scusa della presenza dietro a Serraj delle milizie di Tripoli e Misurata, che hanno affinità politiche con alcuni gruppi più ideologizzati  – ha fatto ripetutamente saltare il tavolo delle trattative sulla riconciliazione tra Est e Ovest. Dunque, quando parla di al Qaeda in una zona che nominalmente dovrebbe essere sotto l’aurea di Serraj (in realtà la situazione è ben più complicata e passa tra i poteri tribali del sud che seguono agende a volte diverse da quelle di Tripoli), vuole lasciare intendere che lui, il premier designato anche dall’Italia, non è in grado controllare il proprio territorio, dove c’è presenza di gruppi terroristici anche perché alcune aree del potere vicine a Serraj hanno lasciato spazi e aperto collusioni. È tutto un meccanismo per destabilizzare, erodere lo zoccolo politico che Serraj s’è costruito, utilizzando un caso di chiaro impatto sui suoi sponsor esterni (nello specifico l’Italia, ma questo genere di sensibilità ce l’hanno anche altri paesi che sostengono Serraj e hanno lavoratori in Libia). Tutto con una domanda implicita: “avete scelto il cavallo giusto su cui scommettere, o vi siete presi lo zoppo?” – perché semmai io sarei qui disponibile. Dunque, non si può dare diretta una notizia, aprendola con un modo sgangherato per altro, su un argomento così delicato senza minimamente creare un contesto e dare una spiegazione.

A onor del vero va detto che lo svarione su Masmari è stato corretto, certo senza ammetterlo – “non siamo mica il New York Times, qua!” – e aggiornandolo con tanto di smentita da parte di Paolo Gentiloni e del sindaco di Ghat, che non nega la presenza di al Qaeda nei dintorni della cittadina, come è noto, ma spiega che per il momento non c’è la minima prova di quello che ha detto il portavoce delle Lna.

L’articolo prima e dopo

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