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Vi racconto le convulsioni di Pd, 5 Stelle e Forza Italia

Il raduno grillino di Palermo, con gli spintoni finali ai giornalisti, accusati da Beppe Grillo in persona di essere alla caccia solo della cellulite della stellata Virginia Raggi, non bastando evidentemente quella trovata, sull’altro versante, alla ministra renziana Maria Elena Boschi, ma anche con le distanze fisiche e politiche che lo stesso Grillo ha voluto prendere dalla sindaca di Roma, non facendosi fotografare con lei e strapazzandola in privato per la volontà appena espressa da lei in pubblico di nominare di testa sua il nuovo assessore capitolino al Bilancio, per quanto indigesto sia apparso alla base webete del movimento pentastellare l’ex consigliere della Corte dei Conti Salvatore Tutino; tutto questo spettacolo offerto a Palermo dal comico genovese e dal suo “popolo” dovrebbe bastare e avanzare perché i benintenzionati, i volenterosi, gli ottimisti non si facciano più illusioni sulla capacità evolutiva di questa gente. E ora tirate pure un sospiro, dopo un avvio così lungo.

L’avvio non poteva essere breve perché troppo lungo è lo sciocchezzaio politico offerto alla cronaca dal raduno formalmente festoso del partito, o come diavolo pretende di essere chiamato, che si è proposta una specie di riedizione della spedizione garibaldina dei mille, risparmiandosi solo il tragitto marittimo da Genova a Marsala: conquistare la Sicilia, nelle elezioni regionali dell’anno prossimo, e da lì risalire il Paese per conquistare il resto. E travolgere anche le sacche grilline di Roma, di Parma e di altre città dove il movimento non si sente ben rappresentato dalle donne e dagli uomini arrivati con troppo anticipo al potere locale.

Si era favoleggiato, alla prima giornata del raduno palermitano, di una “fase 2” del movimento 5 stelle, tornato sotto la guida diretta e totale di Grillo, dopo le ricreazioni del “direttorio” e delle sue varianti. Ma, più che di una fase 2, mi sembra che si tratti di una fase 0, alla quale i grillini sono tornati contorcendosi nelle loro confusioni e velleità, inadatti a governare una città o un Paese in condizioni normali, figuriamoci una città come Roma e un Paese come l’Italia. E in un contesto europeo e ancora più internazionale in cui Grillo pensa di potersi sottrarre alla realtà portando chissà quale bambolo politico a Palazzo Chigi e ordinandogli di ordinare a sua volta alla Banca d’Italia di tornare a stampare le lire. E fare degli euro in circolazione grandi falò, magari con la benzina e i fiammiferi forniti dai leghisti, e mescolando alla cartamoneta i ritratti degli odiatissimi Matteo Renzi e Angela Merkel, anche se i due non stanno trascorrendo, in verità, un periodo d’idillio.

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Purtroppo se i grillini ridono per non piangere, i loro avversari non stanno meglio, né a sinistra né a destra.

A sinistra le minoranze del Pd e le loro propaggini esterne continuano a giocare, col referendum costituzionale o con i problemi economici e finanziari, mentre il governo prepara la legge cosiddetta di stabilità, come se stessero ai tempi supplementari di una partita chiusa tre anni fa: la partita del congresso del maggiore partito, e delle relative primarie, vinta a mani basse, sfondando anche la rete della porta avversaria, da Renzi. Che è diventato per questo un intruso, un abusivo, peggiore di un immigrato senza permesso di soggiorno. Che pure in quanto tale in Italia gode di buon trattamento, checché possa pensare e dire quel sant’uomo di Papa Francesco.

Di Renzi ai suoi nemici interni non piace proprio niente: né quando dice una cosa né quando dice il contrario. Né quando sostiene che la legge elettorale nota come Italicum sia come la Costituzione di una volta, cioè la più bella e invidiata del mondo, né quando annuncia che essa comunque cambierà, sia che vi provveda direttamente il governo sia che vi provveda, ormai dopo il referendum costituzionale, la Corte Costituzionale.

Di Renzi non piacciono non solo i contenuti ma neppure i titoli delle leggi che gli approvano le Camere. E quando uno di questi titoli entra pari pari, come prescrive la legge applicata dai magistrati della Cassazione, nel quesito referendario al quale gli elettori sono chiamati a rispondere sì o no, scoppia la fine del mondo. E’ truffa allo stato massimo. E’ propaganda ingannevole. Anzi di più, è tentativo di colpo di Stato, che si consumerebbe con la eventuale vittoria del sì alla riforma costituzionale. Una ragione, in più, quindi per votare no.

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Se si pensa che a questi tipi di ragionamento aderisce in toto quello che fu il centrodestra, nato ma forse si dovrebbe dire improvvisato da Silvio Berlusconi nel 1994 per essere l’opposto della sinistra, lo sconforto diventa totale. Un centrodestra, nelle sue varie componenti o anime, come presuntuosamente preferiscono sentirsi ed essere chiamate, che si accoda o addirittura precede la sinistra su questo terreno è soltanto suicida.

Non a caso, del resto, quando toccò a un governo Berlusconi di fare approvare dalle Camere una riforma costituzionale e di portarla alla verifica referendaria, s’inventò per quella legge un titolo così anonimo e imbelle, così burocratico e insignificante, che la bocciatura popolare fu una passeggiata.

La migliore rappresentazione del centrodestra e del partito che ne dovrebbe organizzare la rinascita o ristrutturazione, Forza Italia, l’ha data il mio amico Antonio Martino dicendo che Stefano Parisi, incaricato di tentare questa operazione da Berlusconi fra le proteste dei vari Renato Brunetta, Giovanni Toti, Altero Matteoli e Daniela Santanchè, detta anche la Santa, “mi piace perché Forza Italia lo odia”.

Grandissimo Martino.

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