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Putin vuole la Russia indipendente da Microsoft (e non solo)

Mosca mollerà la tecnologia Microsoft: intanto i software gestionali delle email non saranno più quelli creati dall’azienda di Bill Gates (i più comuni al mondo). Sarà Rostelecom PJSC a sostituire Microsoft Exchange e Outlook per la posta elettronica su 6000 computer dell’amministrazione cittadina, riferisce la Bloomberg. E, aggiunge l’agenzia riprendendo le parole del capo del settore information technology del governo russo, Artem Yermolaev, non è da escludere che possa essere sostituito l’intero sistema operativo e il pacchetto Office su altri 600 mila computer statali: l’obiettivo, iniziare dal network informatico governativo per poi ampliare la campagna all’intera Federazione. La propaganda non mancherà: “Vogliamo che il denaro dei contribuenti e delle compagnie di Stato venga speso prima di tutto sul software locale”, ha dichiarato martedì in conferenza stampa Nikolaj Nikiforov, il ministro russo delle Comunicazioni e dei Mass Media, calcando la mano sul nazionalismo (declinazione autarchia) che sta rendendo forte il potere di Putin.

È un’iniziativa in linea con le esortazioni del presidente Vladimir Putin: i funzionari statali e le aziende locali devono ridurre la loro dipendenza da tecnologia straniera, è uno dei mantra presidenziali del momento. La chiamano “importozameshchenie“, ossia la sostituzione delle importazioni con prodotti locali. L’autosufficienza tecnologica è solo un altro dei terreni di confronti su cui il Cremlino sta spingendo per aggirare le sanzioni emanate da Europa e Stati Uniti contro il paese dopo la campagna militare in Ucraina conclusa con l’annessione della Crimea nel settembre del 2014 – sembra la novella distopica “Il giorno di un Oprichnik” (gli Oprichnik erano gli scagnozzi governativi di Ivan il terribile) in cui lo scrittore postmoderno russo Vladimir Sorokin racconta un futuro prossimo in cui un Padre Sovrano della patria ha imposto di sostituire tutti i prodotti stranieri con quelli “made in Russia” (meglio, Сделано в России); il racconto è stato scritto nel 2006, otto anni prima delle sanzioni, dunque qualcosa era già nell’aria, “una precauzione mistica” l’aveva definita Sorokin.

“Mentre entrambi i paesi [Russi e Stati Uniti] sono grandi abbastanza per sopravvivere senza l’altro, c’è una ovvia perdente qui: Silicon Valley” nota Quartz. Il valore del mercato dei software si aggira intorno ai 3 miliardi di dollari l’anno (dato del 2015), e nonostante le sanzioni 295 milioni di questi sono spesi in aziende straniere. Una linea commerciale che Putin vuole tagliare: sullo stesso intento, è arrivata giorni fa la proposta di German Klimenko – advisor presidenziale plenipotenziario, collegamento tra Cremlino e aziende che si occupano di internet, definizione che circola sul suo ruolo “Internet Zar” – di alzare le tasse per gli acquisti negli Apple Store.
Ma non c’è soltanto la questione economica: secondo Gizmodo, l’iniziativa potrebbe essere utile al governo russo per stringere ancora di più la cinghia sul controllo informatico. A fine giugno è stato presentato un nuovo ampio disegno di legge (una ventina di norme) con sui si permette ad autorità come il servizio segreto interno (l’Fsb, ex Kgb) di avere accesso completo alle comunicazioni private, entrando in possesso delle chiavi crittografiche che normalmente le oscurano. Misure necessarie per combattere il terrorismo, sostiene il governo, ma come aveva sostenuto la direttrice del programma russo di Human Right Watch Tanya Lokshina, si tratta di azioni “draconiane” che potrebbero “gravemente minare la libertà di espressione, la libertà di coscienza, e il diritto alla privacy”. Anche qui, il fine è duplice: chiedendo certe prerogative è molto probabile che le compagne straniere, come Google, Facebook, Whatsapp, Twitter, possano man mano ritirarsi dal mercato per rispettare i propri principi etici, chiudendo il giro e favorendo analoghe entità nazionali.
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