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Vi racconto cosa pensava mio padre, Aldo Moro, della libertà

Di Agnese Moro
Moro

“Anche nella necessità si può essere liberi, cioè si può essere convinti di fare qualche cosa di utile; e non si sta lì, forzati, ma si cerca, poiché si è là, di ritrovare qualche cosa di utile per il Paese, e di capire e di farsi capire, perché anche nella necessità qualcosa di utile può emergere”. Queste parole, pronunciate da mio padre Aldo Moro in un discorso tenuto a Benevento nel novembre del 1977, pochi mesi prima del suo rapimento, credo che pongano alla nostra attenzione due importanti elementi del suo modo di ragionare e di vivere.

Il primo elemento è quello della necessità, ovvero, direi, dei dati concreti della realtà che fanno da confine e da spazio alla nostra possibilità di agire nel reale. Mio padre non si nascondeva nulla della realtà, né gli elementi negativi, né quelli positivi. Non c’era in lui nessuna forma di semplificazione, di approssimazione; nessun occhiale ideologico a mascherare i fatti. È un tratto molto evidente nei suoi discorsi, nei quali vengono sempre descritte le situazioni, con le loro potenzialità e con i loro rischi; le varie possibili alternative con ogni loro pro o contro; gli elementi strategici e le convinzioni ideali alle quali si fa riferimento; gli attori in gioco nell’ambito nazionale e internazionale.

Egli ha vissuto in un’epoca di grandi necessità e di grandi costrizioni e vincoli. Il fascismo; la seconda guerra mondiale; la liberazione dell’Italia; la nascita della Repubblica; i pilastri e le regole della comune vita democratica da costruire, da formalizzare e da far agire; l’appassionamento e il coinvolgimento di tutti i partiti e di tutti i ceti nella vita politica e civile; la guerra fredda; la fine del colonialismo; la nascita dei nuovi stati del Terzo Mondo; il conflitto medio-orientale; il ritorno e la fine delle dittature in Europa; la nascita delle Comunità europee; i nuovi rapporti con gli Stati Uniti; il controllo degli armamenti; la crisi petrolifera; il terrorismo. Avvenimenti tutti che lo hanno visto protagonista e all’interno dei quali egli si è sempre comportato come una persona libera.

Ecco, dunque, il secondo elemento, la libertà. Per Aldo Moro essa è uno stato da favorire, da rendere possibile, da garantire. È anche lo strumento con il quale si realizza a pieno la vocazione di grandezza degli esseri umani. È una dimensione fondamentale, in base alla quale si ha la facoltà di scegliere, e magari anche di fare il male (si vedano a tale proposito le sue belle lezioni di diritto penale curate dal compianto prof. Franco Tritto e recentemente pubblicate dall’editore Cacucci di Bari). Nella sua accezione di liberazione (e autoliberazione), poi, la libertà è il senso di marcia e il segno dello sviluppo della storia dell’umanità, che la politica – e la Dc in maniera particolare, come grande partito popolare – deve aiutare e sostenere.

Libertà, nel suo senso più pieno, per il Moro credente, è poi la condizione che caratterizza l’umanità liberata da Cristo con la sua incarnazione, morte e resurrezione. “La più grande delle libertà, quella che è al vertice della piramide e anima e rende buone tutte le altre, è la libertà interiore che pone l’uomo, in purezza, di fronte a Dio, a se stesso, ai fratelli. Quella che esclude egoismi e ferocie e terrori e miserie, quella che conserva sempre una risorsa per superare i dislivelli paurosi della vita. Questa è la libertà dei figli di Dio (1945)”.

La libertà ha certamente contraddistinto l’agire politico di mio padre. Fu sempre un uomo libero. Un bell’esempio di questo suo modo di porsi di fronte alle proprie responsabilità è quello della nascita del primo centrosinistra. La strategia di un pieno coinvolgimento del Partito socialista nel governo sollevò non poche perplessità anche all’interno della Conferenza episcopale italiana, fino alla formulazione dell’ipotesi di una scomunica per mio padre. Da segretario della Dc egli cercò, in quella distretta, “di capire e di farsi capire”, promuovendo una intensa attività di spiegazione e di confronto con tutti i vescovi italiani, volta a porre in evidenza il dovere per i laici di vivere in piena autonomia la propria responsabilità di credenti attivi nel mondo e di “guadagnare” definitivamente i socialisti alla causa della democrazia (si vedano su questi temi gli importanti scritti di Giancarlo Zizola e di Augusto D’Angelo).

Nella relazione fatta al Congresso nazionale della Dc tenutosi a Napoli nel 1962 il segretario politico Aldo Moro dice: “Anche, dunque, perché è così grande l’impegno, anche perché vi sono tali remore e riserve, anche per non impegnare in una vicenda estremamente difficile e rischiosa l’autorità spirituale della Chiesa, c’è l’autonomia dei cattolici impegnati nella vita pubblica, chiamati a vivere il libero confronto della vita democratica in un contatto senza discriminazioni. L’autonomia è la nostra assunzione di responsabilità, è il nostro correre da soli il nostro rischio, è il nostro modo personale di rendere un servizio e di dare, se è possibile, una testimonianza dei valori cristiani nella vita sociale. E nel rischio che corriamo, nel carico che assumiamo, c’è la nostra responsabilità morale e politica e l’adempimento di un dovere costituzionale, il quale, essendo sancita l’autonomia nel proprio ordine della comunità politica, riconduce in questo ambito i diritti ed i doveri relativi alla concreta attuazione di essa”. E nel suo discorso al XII Congreso della Dc del 1973 dice: “Ma non c’è certamente, nella caratterizzazione cristiana del Partito, nessuna pretesa di utilizzare un’inammissibile disciplina confessionale, di costruire una sorta di sbarramento che impedisca a taluni di entrare e ad altri di uscire (…) Complessivamente, nelle sue varie modulazioni, l’esperienza cristiana è sentita come principio di non appagamento e di mutamento dell’esistente nel suo significato spirituale e nella sua struttura sociale. E come forza di liberazione, accanto ad altre, diverse per le loro motivazioni ed i loro modi di essere, dobbiamo considerare la nostra, alla quale rispetto e fiducia nell’uomo tolgono la tentazione del ricorso traumatico ed illusorio alla violenza ed attribuiscono invece un compito di evoluzione che, per essere realizzata attraverso i canali del sistema democratico, non è perciò meno incisiva e radicale”. È dalla libertà (e dalla verità che sempre l’accompagna) che mi sembra papà abbia tratto la forza di cercare e di trovare soluzioni nuove alle diverse situazioni e necessità che la storia pone. Così come fece nella crisi seguita alle elezioni del ‘76 (“Perciò noi abbiamo avuto una vittoria, ma non siamo stati soli. Anche altri hanno avuto una vittoria; siamo in due vincitori, e due vincitori in una battaglia creano certamente dei problemi”, dal discorso ai gruppi parlamentari dc del 28 febbraio 1978) individuando una possibile via d’uscita con la chiamata del Pci alla responsabilità nell’area del governo.

Ed è proprio attorno al tema della libertà che si articola una sua interessante e profonda interpretazione del fenomeno della violenza. Scrive papà in un articolo su Il Giorno del 10 aprile 1977, in occasione della Pasqua: “Il motivo che più amareggia e offusca la speranza di questi giorni è la constatazione non tanto della divisione, quanto di una divisione sottolineata e difesa dalla forza brutale della violenza aperta e di quella paurosamente tramata nell’ombra e non per contrastare altra violenza cristallizzata e potente, ma proprio per contestare la libertà, nella quale si cammina verso il superamento di un passato finito e l’apertura di nuovi e più ampi orizzonti”.

Anche nella necessità si può, dunque, essere liberi. Penso che Aldo Moro sia stato un uomo libero sempre, anche nei giorni della sua prigionia nel carcere delle Brigate Rosse. Credo, anzi, che nella minuscola cella in cui era rinchiuso in quei terribili giorni egli sia stato più libero di tutti noi. E che non sia stato lì forzato, ma che abbia cercato “di ritrovare qualche cosa di utile per il Paese, e di capire” (le Brigate Rosse, la situazione, gli ostacoli, le possibili vie d’uscita) e di farsi capire (dalle stesse Brigate Rosse, dalla società politica, dal Paese), perché anche nella necessità qualcosa di utile può emergere ”. Ed è anche per questo estremo impegno che viene ricordato da tanti, che magari non lo hanno neanche conosciuto, con grande affetto e rispetto.

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