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Contro il pessimismo culturale dell’Occidente

Non è certo un caso se al “pessimismo culturale” dell’Occidente, che in estrema sintesi si traduce nella condanna del progresso e della modernità rei non solo di non aver migliorato la società ma addirittura di averla peggiorata, sia speculare un revival di teorie economiche (e non solo) di stampo neo marxista il cui nemico numero uno è, oggi come ieri, il capitalismo in tutte le sue declinazioni. Due facce di una stessa medaglia che confermano oltremodo il carattere ideologico tanto della diagnosi quanto della cura proposte. Ideologico, ovvero: se i fatti smentiscono le idee, tanto peggio per i fatti. E che i fatti stiano lì a dimostrare che il mondo di oggi è un posto migliore in cui vivere a confronto con quello anche solo di mezzo secolo fa, è di una tale evidenza che si fa fatica a credere che ci sia qualcuno che sostiene il contrario (ma non era “scientifica” l’analisi marxista della storia?). Ma poi, vogliamo dirlo una volta per tutte? Anche a voler tacere il non banale dettaglio che per “colpa” del truce capitalismo ogni giorno migliaia di persone escono dalla condizione di povertà, il punto fondamentale è non soltanto che “La diseguaglianza fa bene”, come giustamente sostiene Nicola Porro nel suo ultimo saggio, ma che anzi se c’è una cosa di profondamente ingiusto questa è proprio l’uguaglianza. Non per nulla l’utopia egualitaria – in nome della quale solo nel XX secolo sono stati perpetrati crimini di indicibile orrore – ha prodotto ovunque una toppa infinitamente peggiore del buco che voleva riparare. Nei trattati di spiritualità cristiana ogni mancato progresso nella vita spirituale è un regresso. Se non vai avanti torni indietro. Qui è lo stesso: le teorie a vario titolo anti-capitaliste e neo marxiste rappresentano un regresso poichè rendono la società non solo più povera, ma anche più ingiusta di quelle capitaliste, a motivo della forzata negazione di ciò che, dall’alba dei tempi, è un dato di natura: fatti salvi tutti i possibili condizionamenti, le eccezioni e via dicendo, e ovviamente nel presuposto che uno viva onestamente, noi siamo il frutto delle nostre libere scelte, che si cristallizzano nella condizione sociale di ciascuno. Punto. Dov’è l’errore? Dove l’ingiustizia? Tra l’altro, “i poveri li avrete sempre con voi”, disse un tale Gesù di Nazareth, a riprova che forse il problema non era (e non è) la povertà. Occorre stare allerta di fronte a certi fenomeni, anche nostrani, e non abbassare la guardia. A meno di non voler lasciare ai nostri figli un mondo come quello lucidamente profetizzato nel 1871 (occhio alla data) da Henri Frederic Amiel: “…la democrazia arriverà all’assurdo rimettendo le decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell’Uguaglianza, che dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze. Perché non riconosce la diseguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga”.

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