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Cultura, servizio essenziale

Riporto, integralmente, il testo di un mio intervento pubblicato sul Giornale delle Fondazioni e relativo all’interessante Forum lanciato dall’Associazione Mecenate 90.
A margine, in corsivo, vi sono alcuni spunti operativi, quali azioni possibili per non disperdere l’enorme qualità dei contributi di autorevoli esperti del settore delle politiche culturali.

Prendo spunto dall’ottima riflessione di Alessandro Leon e con l’occasione mi permetto di ricordare suo padre Paolo economista galantuomo, nonché economista della cultura concreto e sempre attento alle dinamiche sociali per l’effettivo sviluppo delle comunità. Ebbene buon sangue non mente e allora l’approccio indicato nell’articolo “La cultura tra riforma e crisi economica: un approccio territoriale” diviene un “luogo” interessante per il necessario risvolto attuativo delle politiche culturali ben pensate.
Vi è in questa fase storica una lotta quotidiana tra la difficile gestione delle risorse pubbliche (a causa di bilanci sempre più orientati all’emergenza o a scelte discutibili) e la scarsa propensione alla spesa per la cultura da parte delle famiglie dissanguate dalla crisi economica. Vi è altresì un problema della percezione della cultura da parte della collettività e questo genera dei paradossi che inevitabilmente incidono sulla qualità.
Torniamo ai territori; se un’amministrazione locale decide di investire sulla cultura, non sempre tale scelta è vista come la migliore; infatti vi è più visibilità da parte del contribuente nella raccolta dei rifiuti o nella manutenzione stradale rispetto all’evento culturale. Cosicchè gli amministratori che possiamo definire illuminati, sono, di fatto, considerati dalla maggioranza dei cittadini scellerati poichè a loro avviso le priorità sarebbero altre., accusando di sprecare risorse per il superfluo.
In questo senso le proposte operative di Leon trovano ampia cittadinanza, focalizzando la percezione generale sui centri di ricavo e non sui centri di costo.
La capacità di individuare un’Italia diversa risiede nei termini progettuali concreti come obiettivo mobilitante di politiche pubbliche che escano finalmente dalla tradizionale convegnistica passando dalla sostanziale indifferenza espositiva al terreno della vera e concreta iniziativa risolutiva. Un recente studio della SVIMEZ ” Le spese per la cultura nel Mezzogiorno d’italia” (che si consiglia di leggere integralmente) aiuta a capire lo stato dell’arte e soprattutto la circostanza che la cultura in Italia non è ancora considerata servizio essenziale, come lo stesso Leon sottolinea quando afferma : si dovrebbe agire subito per modificare il trattamento fiscale della cultura tra i servizi pubblici locali: la cultura è un “servizio essenziale”, come per la sanità, l’assistenza sociale, le scuole…
Sul piano concettuale la questione è quella di una definizione rigorosa di “cultura” e di “spese per la cultura”. È ben chiaro che non tutto ciò che con evidenza corrisponde alla nozione di cultura in senso stretto costituisce prestazione essenziale, ed è chiaro altresì che, specie in particolari contesti (e ci si riferisce a zone urbane degradate), spese che a prima vista non corrispondono a “cultura” possono produrre prestazioni il cui livello essenziale può offrire ai giovani (o ai vecchi) una via di fuga da condizioni di vita, o di rischio, non accettabili. Ed è vero d’altra parte che anche i “servizi ricreativi” (o taluni di essi) possono concorrere, così come la cultura, alla formazione di “capitale umano”, tanto da essere contemplati, insieme al settore culturale, tra le dimensioni utili a rappresentare il benessere dei cittadini e l’aggregazione sociale di un paese.
Tale ragionamento, come si vede, incide direttamente sul concetto di percezione esterna del ricavo culturale; in questo la scommessa dei territori dovrebbe essere costante attraverso un’adeguata comunicazione istituzionale e soprattutto attraverso la “cultura dell’investimento” in luogo della spesa, evidentemente considerata spreco o inutile.
Sul punto ancora la SVIMEZ evidenzia che negli ultimi tredici anni la cultura è stata tagliata di più al Sud. Dal 2000 al 2013, infatti, la spesa totale nel settore della cultura ha subito un crollo di oltre il 30% nel Mezzogiorno, passando da 126 a 88 euro pro capite, contro il -25% del Nord. Nel 2013 fatto pari a 100 il livello medio nazionale la spesa pro capite per la cultura è stata del 69% nel Mezzogiorno, a fronte del 105% del Nord e del 141% del Centro.
Tale quadro economico è riferito alla voce “cultura e servizi ricreativi” e si intendono principalmente interventi a tutela e valorizzazione di musei, biblioteche, cinema, teatri, enti lirici, archivi, accademie, ma anche attività ricreative e sportive quali piscine, stadi, centri polisportivi, fino alla gestione di giardini e musei zoologici. Due i soggetti maggiormente coinvolti da queste spese: i comuni e lo Stato, insieme al CONI. Decisamente minori gli apporti delle Regioni, che destinano al settore risorse soprattutto di provenienza europea.
Con una recente e bella sintesi Antonio Pappano , direttore musicale dell’Accademia di Santa Cecilia, afferma che non dobbiamo avere paura di investire in cultura, poichè si tratta di un investimento dagli orizzonti lunghi, fa quadrare l’economia e nello stesso tempo fa raggiungere risultati straordinari in tanti campi, primo fra tutti quello della coesione sociale.
C’è un problema in tutto questo che non deve essere trascurato: la comunicazione culturale. Ho provato in questi giorni a visitare a campione siti istituzionali di numerose amministrazioni locali; ebbene nella maggioranza dei casi vi sono pagine non aggiornate che non riportano alcuna indicazione dell’offerta culturale. In questo quadro come è possibile attrarre visitatori? E’ possibile in alcuni casi che cercando eventi in corso le pubblicazioni siano ferme al 2014! Ora questo errore non è scusabile ove si tratti di luoghi per vocazione culturali i quali dovrebbero offrire ai residenti ( contribuenti) e ai turisti (che spendono) una completa informazione sulle politiche culturali.
In conclusione è necessario insistere sulla cultura non percepita come mero bene di lusso ma, come per la sanità e la scuola, davvero essenziale per lo sviluppo dei territori poichè non solo centro di costo ma di ricavo. La partita si gioca, attingendo alla disciplina dell’economia della cultura. Occorre mettere in campo le migliori scelte attraverso le quali i territori possano esprimere le rispettive eccellenze con idee innovative e concrete. La sfida, ad esempio, per il titolo di Capitale italiana della cultura sta dando ottimi risultati soprattutto in termini di ritrovato appeal dei luoghi. Insomma ci si pone il problema di migliorare le città per esporle ad una gara pubblica il che consente un ritrovato orgoglio sociale tra amministratori e amministrati, mirando alla gestione sosteniblie delle risorse.
Degni di nota in questo senso sono i cantieri di progettazione con progetti di valorizzazione turistico – culturale, laddove un piano strategico del turismo a livello nazionale dovrebbe necessariamente produrre ricadute generose anche nelle piccole realtà spesso sacrificate da infrastrutture completamente da ripensare. Quello che serve e si concorda con lo studio SVIMEZ, è “non soltanto un maggiore impegno finanziario di tutti, ma altresì una effettiva riconsiderazione e riforma dei meccanismi finanziari e istituzionali”. In primis, le spese per la cultura “attengono ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP), che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Diritti con portafoglio: “tutti i diritti richiedono, da parte di tutti i livelli di governo, una disponibilità concreta di risorse”. Inoltre, in base all’art.117 Cost, è lo Stato che deve definire i LEP e costruire un meccanismo che li renda disponibili. Occorrerà inoltre, conclude la studio definire un sistema di poteri e responsabilità che consenta una gestione adeguata del settore, difendendo l’operato di quelle amministrazioni che decidono di investire in cultura, malgrado tutto direbbe Sciascia.
Molto interessante, dunque, l’iniziativa del Forum; forse i tempi sono maturi per un Manifesto operativo. Finalmente si passa dal generico sviluppo del concetto di cultura a quello più responsabile e necessario di economia della cultura quale irrinunciabile occasione di azioni immediate concrete e sostenibili. A mio avviso occorre uscire dalla convegnistica – fine a se stessa – ed entrare in una logica operativa nel segno di un moderno pensatoio dove incubare le idee che possano avere un deciso impatto anzitutto sui territori. Sarebbe interessante non disperdere nemmeno una delle proposte in una logica di laboratorio innovativo in costante evoluzione; in questo senso potrebbe innestarsi anche a livello ministeriale una sorta di organismo “laico” che potesse – sulla scorta delle varie esperienze dal paesaggio alla valorizzazione dei beni culturali – vigilare e proporre, ma soprattutto cercare di capire in anticipo l’impatto delle scelte derivanti dalle politiche pubbliche .
È una sfida , ma anche un dovere.

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