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Ahmad Khan Rahami, chi è il sospetto attentatore arrestato a New York

de blasio

Ahmad Khan Rahami, ventotto anni, afgano naturalizzato americano, sospettato numero per le bomba nel quartiere di Chelsea e per quelle in New Jersey, è stato arrestato. L’uomo è stato preso dopo una sparatoria a Linden, NJ. L’Fbi e polizia lo avevano identificato grazie alle impronte digitali su uno degli ordigni inesplosi (cinque trovati a Elizabeth, in New Jersey, uno a Manhattan), alle riprese di alcune telecamere a circuito chiuso, a un cellulare che sarebbe servito da innesco collegato a uno delle bombe restate intatte. Poi un cittadino di Linden lo ha notato appisolato sulla porta di un bar chiuso, ha chiamato la polizia perché gli era sembrato simile all’identikit del sospettato diffuso qualche ora prima dall’Fbi. Quando un agente intervenuto sul posto si è avvicinato, Rahami ha provato a fuggire e poi ha iniziato a sparare contro i poliziotti: è stato ferito nel conflitto a fuoco, arrestato e portato in ospedale. Su di lui pende un’accusa di tentato omicidio.

Avrebbe potuto compiere una strage, ma alcuni esperti hanno spiegato ai media americani che l’esplosione è stata contenuta visto che gli ordini (uno a Chelsea, un altro a Seaside Park) erano stati posizionati all’interno di cassonetti dell’immondizia: questo ha fatto sì che le biglie e gli altri pezzi ferro che avrebbero dovuto essere i proiettili sparati dalla detonazione, siano stati rallentati; i feriti di New York sono stati tutti dimessi senza conseguenze gravi, nel New Jersey nessuno si è fatto male.

Resta adesso la parte più corposa dell’indagine: chi è Rahami? Perché ha agito? Che tipo di collegamenti può avere? Per il momento i dati certi sono pochissimi: le cinque persone fermate domenica erano suoi famigliari, ma subito rilasciate perché non sospettate; negli ultimi anni si è recato più volte in Afghanistan, in almeno un viaggio anche in Pakistan dove sarebbe rimasto svariati mesi; niente di più, anche perché il sospetto non collabora con gli investigatori. Sta proteggendo una cellula terroristica newyorkese? Le autorità si muovono con i piedi di piombo: prima avevano escluso che le esplosioni potessero avere connessioni, altrettanto per la pista terrorismo, poi hanno ammesso che le evidenze parlavano di tutt’altre circostanze, ora dicono che l’afghano non avrebbe collegamenti internazionali, però non possono escluderlo. Misura, ponderazione, anche perché il teatro di questo caso è New York, città simbolica: da lì, dallo squarcio in cielo del 9/11, parte tutta la guerra al Terrore; sempre lì, sul lato opposto di Manhattan rispetto al luogo dell’esplosione, capi di stato e di governo di tutto il mondo sono riuniti al Palazzo di Vetro, head-quartier delle Nazioni Unite. Se Rahami fosse un membro di qualche unità più organizzata e se l’attacco fosse stato un tentativo maldestro ma frutto di una pianificazione (sì, come dire “anche i terroristi possono sbagliare”), la visione generale delle cose potrebbe cambiare notevolmente rispetto all’azione del singolo.

Mantenere la calma è il mantra: un meccanismo comunicativo necessario per non alzare il panico tra i milioni di cittadini per sempre traumatizzati dal crollo delle Torri Gemelle, che allo stesso tempo rende monco l’atto, già di per sé non andato a buon fine, dell’attentatore. Il sindaco Bill de Blasio continua a essere cauto, “abbiamo tutte le ragioni per credere che questo è un atto di terrorismo”, ma non si sbilancia sulla natura e sui moventi. Il governatore Andrew Cuomo ha dichiarato che “non sarebbe stupito” di possibili collegamenti internazionali dell’attentatore, ma per il momento non sono stati tracciati.

Il pensiero, il riferimento va ovviamente al terrorismo jihadista globale innescato dopo l’espansione, territoriale e narrativa, dello Stato islamico, ma anche ad altri gruppi – è chiaro. Gli americani tengono sempre alta la guardia su al Qaeda: gli ordigni di Chelsea erano stati confezionati all’interno di una pentola a pressione, imbottita probabilmente di tannerite (un esplosivo comune, in America acquistabile anche su internet) e biglie e frammenti di metallo (shrapnel, in gergo tecnico). Bombe artigianali del tutto simili a quelle che il 15 aprile 2013 hanno ucciso 3 persone, ferendone 264, durante la maratona di Boston: in quel caso a colpire furono due fratelli ceceni, Džochar e Tamerlan Carnaev, i quali ammisero agli inquirenti che la loro ideologia si ispirava alle prediche di Anwar al Awlaki. Al Awlaki è uno dei più personaggi più famosi del jihad moderno: chierico yemenita con doppia nazionalità americana, era uno dei grandi leader ispiratori qaedisti, ma molte delle sue invettive sono riprese anche dallo Stato islamico (che con al Qaeda ha scavato un solco profondo di divisione sulle interpretazioni del jihad). Al Awlaki è stato ucciso nel 2011 da un velivolo senza pilota americano: una delle sue più grandi eredità fu il magazine qaedista Inspire, uno dei primi tentativi riusciti di comunicazione secondo le vie canoniche del settimanale da parte di un gruppo estremista. In una pubblicazione del 2010, Inspire spiegava come confezionare una bomba nella cucina di casa: focus particolare proprio sull’uso delle pentole a pressione.

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