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Jihadisti negli Usa, chi sono e a cosa puntano

Un uomo a Minnesota ha accoltellato nove persone in un centro commerciale mentre gridava frasi con riferimento ad Allah e cercava di separare i musulmani prima dalle sue pugnalate: dodici ore dopo un organo semi-ufficiale dei media dello Stato islamico, Amaq News, rivelava che l’attentatore, un americano di origini somale ucciso dalla polizia, era un soldato del Califfato. Nello stesso giorno, quasi contemporaneamente, a New York esplodeva un ordigno rudimentale in piena Manhattan, e un altro veniva ritrovato intatto. Prima, nel New Jersey, un’altra esplosione in un cassonetto della spazzatura che si trovava lungo il percorso di una gara podistica organizzata per beneficenza dai Marines. Lunedì altri ordigni sono stati ritrovati, ancora inesplosi, nei pressi della stazione ferroviaria di Elizabeth, nel New Jersey: erano dentro uno zaino, le autorità non escludono che possano essere stati gettati da qualcuno che voleva liberarsene (la storia ricorda il tubo esplosivo fatto detonare a Central Park ai primi di luglio: gli inquirenti pensavano a qualcuno che voleva disfarsene). La polizia ha diramato un mandato di cattura per Ahmad Khan Rahami, naturalizzato afghano, che alcune telecamere avrebbero individuato come responsabile di quello che è successo in NJ: non è chiaro se ci siano i complici, ma è molto probabile; cinque persone sono state fermate nei pressi del ponte di Verrazzano, viaggiavano insieme, di notte, conoscevano Rahami. Sono una cellula? Possibile il coinvolgimento nei fatti di sabato dall’altra parte dell’Hudson. Per il momento il governatore Andrew Cuomo, che domenica si “sentiva” di escludere la pista terroristica, è tornato sui suoi passi: “I nuovi dettagli potrebbero cambiare quel pensiero”.

I JIHADISTI NEGLI USA

La situazione negli Stati Uniti è complessa, resa tale anche dall’assimilazione socio-culturale, perciò nessuno si sbilancia: oltretutto ad essere interessata è una città simbolo come New York, che rende il tutto più delicato; nelle stesse ore si svolge l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con 150 capi di governo. Da marzo 2014, si legge in un report della George Washington University uscito lo scorso anno “71 individui sono stati accusati negli Usa per attività legate ai drappi neri in 21 Stati”. ​In totale, “ci sono al momento 900 investigazioni aperte su simpatizzanti dell’Isis”. Gli arrestati sono per lo più concentrati su una fascia di età che sta intorno ai 26 anni. L’attentatore che ha colpito in Minnesota era di origine somala, una comunità ben radicata nello stato, dove rappresenta il più ampio gruppo etnico musulmano, che si è subito distaccata dalla vicenda, anche perché in passato episodi di estremismo avevano già trovato radici nel sottoinsieme sociale: nove giovanissimi somali abitanti nei dintorni di Minneapolis sono sotto inchiesta dall’aprile scorso perché avrebbero progettato un viaggio verso la Siria per unirsi al jihad califfale. Fin dal 2007 era stato segnalato un collegamento tra gruppi di giovani musulmani radicalizzati nel Minnesota e finiti a combattere tra le file della qaedista Shabaab (almeno in 20): erano tutti somali, tornati per il jihad nel paese di origine. L’uomo responsabile del fallito attentato a Manhattan, Rahami, è nato nel 1988 in Afghanistan.

COLLEGAMENTI E UN’OCCASIONE IMPORTANTE

Non sfugge la coincidenza degli episodi, tanto che alcuni osservatori – come per esempio (su Twitter) il giornalista del Foglio Daniele Raineri – si sono chiesti se quello del week end non fosse un tentativo maldestro di risposta all’uccisione per opera un bombardamento americano del potentissimo portavoce dello Stato islamico Abu Mohammed al Adnani. Da spiegare: l’IS dedica sempre un’offensiva simbolica in onore dei suoi comandanti morti; per esempio, ad inizio anno, quando in Libia ancora era solido, ha lanciato un attacco contro i pozzi petroliferi che ora sono ostaggio del contropotere orientale che si oppone al governo promosso dall’Onu: un’operazione in onore del leader libico Abul Mughirah al Qahtani, a cui Abu Bakr al Baghdadi aveva affidato il potere nel paese nordafricano, ma che era finito sotto i missili di un F15 americano la notte tra il 13 e il 14 novembre. Nella stessa data, un grande attacco organizzato dall’IS colpiva Parigi. Queste – notano alcuni osservatori – sono considerazioni, speculazioni, ragionamenti, per il momento non ci sono collegamenti tracciati tra le vicende che sono avvenute negli ultimi giorni in America, né tra loro, né con piani individuati o anche solo rivendicati dal Califfato. Tuttavia si sa che Adnani non era soltanto il portavoce, ma era il comandante della giunta militarista dell’IS che si occupava delle operazioni all’estero, ossia colui che pianificava gli attentati in Occidente: Abdelhamid Abaaoud, l’uomo che ha diretto l’attacco parigino, aveva avuto istruzioni dall’entourage di Adnani – “entourage” perché il capo aveva un rapporto ossessivo con la sicurezza, che però non è bastato a salvarsi la pelle. Ci sono cellule in America pronte a lanciare un’azione simbolica dedicata al grande leader? Ci sono cellule diffuse in tutto il mondo pronte a fare questo? Diverse inchieste giornalistiche – l’ultima del New York Times – raccontano tramite informazioni ottenute da miliziani pentiti, che sì, lo Stato islamico ha inviato “soldati” in grado di colpire in Occidente: non bastasse, ci sono elementi che fanno da ponte, predicano, infiammano, poi lasciano l’azione ai proseliti locali.

LE CELLULE FRANCESI

È del tutto lecito pensare che i baghdadisti stiano quanto meno pensando ad organizzare un’offensiva in Occidente in onore di Adnani; in arabo queste azioni vengono indicate come ghazwa, raid. Dieci giorni fa, tre giovani francesi sono state fermate dalla polizia mentre cercavano di ordire un piano terroristico a Parigi (volevano in qualche modo colpire la stazione de Lyon e quella di un sobborgo della capitale). Quando la polizia è entrata nell’appartamento in cui si rifugiavano ha trovato una lettera indirizzata alla madre di una delle tre, in cui la ragazza spiegava che il suo gesto era in omaggio della morte del portavoce dell’IS. Le autorità francesi erano arrivate al punto dopo aver ritrovato un’auto con all’interno sei bombole di gas, senza detonatore, vicino Notre Dame: il veicolo aveva portato l’antiterrorismo sulle tracce di una delle tre fermate. Successivamente si è scoperto che quelle che sembravano “lupe solitarie” (brutta declinazione femminile del termine ormai diventato uso comune, ossia i terroristi che provvedono da soli all’indottrinamento e all’azione, senza contatti esterni), erano pieni di collegamenti con il mondo jihadista. In particolare, una di loro, Ines Madani, era in contatto con Rachid Kassim, che è un nome da tenere a mente. Kassim sarebbe probabilmente potuto diventare “il prossimo Abaaoud” detto semplificando, ossia un agente che per il momento dirige i simpatizzanti del gruppo dalla Siria, ma poi avrebbe potuto prendere il comandante di azioni più articolate. Probabilmente questo secondo ruolo sta scemando, visto che Kassim è diventato troppo in vista per gli standard del gruppo. Infatti ormai è una sorta di web-star di questo genere di jihad eterodiretta: per esempio, via Telegram aveva già indirizzato gli autori dell’esecuzione brutale di padre Jaques Hamel, ora beato, sgozzato nella chiesa in cui era parroco a Saint-Étienne-du-Rouvray, in Normandia. Kassim è stato il protagonista di appelli video in cui invitava i giovani musulmani francesi a colpire sul territorio patrio con qualsiasi mezzo a disposizione, riprendendo l’audio diffuso dallo stesso Adnani; quello in cui chiedeva a chiunque avesse intenzione di sposare la fedeltà jihadista (che il gruppo considera l’unica via per la fede) di non andare in Siria o Iraq ma di uccidere gli infedeli a casa loro, con quel che si ha tra le mani, un coltello – come in Minnesota –, un sasso, una macchina. In un video Kassim consiglia di compiere attacchi con un camion, poi sappiamo come è andata a finire a Nizza. Anche l’autore del duplice attentato, pure quello di stampo jihdista, a Magnanville, Larossi Aballa lo aveva citato.

Per il momento gli attacchi di New York non ha un collegamento, né interno né esterno. Ma era stato il capo della Bfv, l’intelligence interna tedesca, Hans-Georg Maassen, a spiegare meno di un mese fa che il pericolo peggiore arriva in Occidente per i “falsi lupi solitari”: “Si tratta di individui che apparentemente agiscono per conto proprio ma in realtà sono diretti, in forma virtuale e tramite messaggi, dall’estero”. È il caso dei francesi con Kassim, è il caso dei tre tedeschi fermati a inizio settembre perché collegati con gli attentatori del 13 novembre a Parigi. Anche per le ultime vicende che arrivano dagli Stati Uniti sarà così?

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