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Mps, perché le Casse non spasimano per il Fondo Atlante 2. Parla Oliveti (Adepp)

Un mese e mezzo fa fa il clamoroso dietrofront sul Fondo Atlante 2, che ha lasciato il paracadute salva Monte dei Paschi di Siena orfano di mezzo miliardo di euro messi inizialmente e virtualmente sul piatto dagli enti previdenziali dei professionisti. Ora però Alberto Oliveti, presidente di Adepp, l’associazione delle Casse previdenziali dei professionisti, racconta a Formiche.net la verità sull’operazione Casse-Atlante.

SI’ AL FONDO (MA DECIDONO I CDA)

“La posizione è quella deliberata il 25 luglio scorso e mai mutata. Sottolineiamo l’importanza di investire a sostegno del sistema Paese nel quale i nostri professionisti lavorano. Se il Paese va male non si può pensare che i professionisti se la passino meglio. Tutti abbiamo interesse a migliorare la situazione economica dell’Italia”, spiega Oliveti. Il messaggio è chiaro. Atlante può anche essere cosa buona e giusta, ma bisogna necessariamente tenere conto di due variabili.

PERCHE’ LE CASSE HANNO DETTO DI NO

Primo, la parola definitiva spetta al board di ogni Cassa, che può tranquillamente respingere l’orientamento dell’associazione. Secondo, Adepp ha chiesto più chiarimenti sull’investimento nel fondo, senza tuttavia ottenerne. Un mix di fattori che ha provocato lo stallo e il successivo congelamento dell’operazione. E infatti, afferma il numero dell’Adepp nonché presidente Enpam “in quella delibera abbiamo anche ribadito che le decisioni spettano ai cda delle Casse che devono fare tutte le necessarie valutazioni sui rischi e sul rendimento, nel rispetto delle asset allocation, delle procedure e delle proprie politiche di investimento. Noi siamo chiamati ad investire non soldi che ci sono stati dati volontariamente e fiduciariamente ma risparmi previdenziali che ci sono stati versati obbligatoriamente. La cautela quindi deve essere doppia”.

NESSUNA (O QUASI) VOCE FUORI DAL CORO

Oliveti ricorda come il progetto Atlante, alla fine, non abbia praticamente fatto breccia in nessuna delle Casse iscritte all’associazione, molte delle quali non hanno nemmeno portato il dossier all’esame del cda. “Non avendo ricevuto i chiarimenti legali da parte dei ministeri vigilanti, la maggior parte delle Casse non ha potuto portare l’argomento all’attenzione dei cda. L’Enpapi ha deliberato una disponibilità teorica, ma mi risulta che anche quella delibera sia subordinata all’avverarsi delle condizioni di convenienza e di procedibilità legale”.

CASSE PUBBLICHE (O PRIVATE?)

Eppure, dietro allo stop delle casse, si cela un’altra questione. Quella relativa alla natura delle Casse. Tutto nasce dall’articolo 8, comma 3, del Decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016, che vieta espressamente allo Stato, le amministrazioni pubbliche e le società direttamente o indirettamente controllate da amministrazioni pubbliche di acquistare titoli junior o mezzanine, che fanno parte della struttura del debito bancario. Il problema è che “le Casse di previdenza sono inserite nell’elenco Istat delle amministrazioni pubbliche e quindi ricadono in pieno nel divieto. Sono anni che lo diciamo: trattare gli Enti di previdenza dei professionisti come una Pa malgrado siano soggetti privati, è dannoso non solo per gli interessi degli iscritti ma anche per la collettività. Questa è solo l’ultima delle situazioni paradossali che si presentano regolarmente: ci viene chiesto di agire da privati ma poi ci ritroviamo con i vincoli del pubblico”.

LA SOLUZIONE AL PROBLEMA PUBBLICO-PRIVATO

Oliveti ha un’idea. “La soluzione per questo annoso problema l’abbiamo individuata e suggerita. Come Casse ci sta bene rimanere nell’elenco Istat perché questo al momento di fare le statistiche europee permette all’Italia di conteggiare il nostro patrimonio come ricchezza del Paese, con conseguenze positive quando per esempio si calcolano i vari parametri come il rapporto deficit/Pil. Quello che non va bene è usare quello stesso elenco Istat come sinonimo di pubblica amministrazione. Basterebbe dire che tutte le leggi e leggine che richiamano quell’elenco a fini non statistici sono inapplicabili. Semplice”.

IMPARARE DAGLI ERRORI (TIPO I DERIVATI)

Investire in Atlante è parso rischioso a molte Casse, ormai è chiaro. Eppure in passato di errori ne sono stati fatti, si veda alla voce derivati. “Una buona ragione per non commettere gli stessi errori, appunto”, dice Oliveti. “Sempre che di errori si sia trattato. La magistratura infatti ha appurato che in molti casi i derivati furono presentati come investimenti sicuri, a capitale garantito, e ha mandato sotto processo coloro che li hanno proposti, accusandoli di aver ingannato i consiglieri di amministrazione con artifizi e raggiri”. Ma è acqua passata e ora le casse guardano avanti, con nuove regole: “Da allora le casse hanno fatto molta strada: si sono dotate di rigorose procedure sugli investimenti, hanno rafforzato i controlli e aumentato la professionalità all’interno dei loro servizi investimenti. Se ci imbattiamo in proposte di investimento incompatibili con i nostri profili di rischio, siamo in grado di capirlo”.

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