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Perché le ramanzine della Germania contro l’Italia sono truffaldine

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Sabato 24 settembre sono apparsi due articoli sul Corriere della Sera, un editoriale di Daniele Manca e un intervento di Massimo Franco nella rubrica ‘La nota’, il cui asse portante, sostanzialmente simile, era costituito da una valutazione in buona misura critica della dura contrapposizione di Renzi nei confronti dell’Unione Europea, accompagnata da un caveat a non forzare oltre i termini della polemica, perché vi sarebbe il rischio dell’isolamento del nostro Paese e di non ottenere i margini di flessibilità per la prossima legge di bilancio di cui invece il nostro Paese ha bisogno.

Premetto subito che stimo i due autorevoli giornalisti del Corriere sulla cui edizione del Mezzogiorno ho scritto per 15 anni, ma devo dire con franchezza che questa volta non condivido affatto la loro opinione. Venendo subito al cuore del mio dissenso, mi chiedo e chiedo loro: ma insomma cosa dovrebbe fare Renzi in una Unione Europea nella cui area dell’euro la Francia sfora sistematicamente il rapporto deficit/pil senza essere sanzionata, insieme (più di recente) alla Spagna e al Portogallo? E il Commissario (francese) Moscovici – che pure censura (a parole) il comportamento del suo Paese – è poi capace forse di imporre l’avvio di una procedura di infrazione nei confronti di Parigi? E che dire della redistribuzione dei migranti? Abbiamo anche l’apprezzamento del Presidente Juncker per la nostra capacità di accoglierli – e ci mancherebbe! – ma quando si discute della loro redistribuzione nella UE l’Italia rimane sola. Drammaticamente sola, con tutti i complessi problemi di redistribuzione territoriale di quei disperati nelle varie regioni, mentre il leader ungherese Orban può dire e fare quello che vuole, senza che nessuno riesca a piegarne l’intransigenza. Di tanto in tanto la Merkel afferma di voler aiutare Italia e Grecia nell’accoglienza, ma avrà la forza politica di dare seguito alle sue parole, dopo i risultati elettorali nei Lander del suo Paese? La Gran Bretagna a sua volta prima vota la Brexit e poi tarda a formalizzare l’esito del referendum e ad avviare le procedure per l’uscita dall’Unione, senza che si riesca ad imporle comportamenti più coerenti. Ma non si era detto invece a livello di Commissione Europea, poche ore dopo il voto in quel Paese, che bisognava procedere con la massima celerità ad avviare l’uscita della Gran Bretagna dalla UE?

Ed allora, di fronte a questi comportamenti di Capi di Stato e di governo e di Commissari europei, eufemisticamente definibili come elusivi, che cosa dovrebbe fare il nostro Presidente del Consiglio? Piegarsi? Subire in silenzio? Far finta di nulla o traccheggiare? Al di là delle sue esternazioni temperamentali che possono piacere o meno, bisogna riconoscere con onestà intellettuale che Renzi è persino obbligato ad alzare la voce, pena la perdita di credibilità sua in Italia e in Europa e dell’Italia stessa nella UE. Qualunque Presidente del Consiglio italiano al suo posto e qualunque fosse il colore del suo governo, a tutela della dignità e degli interessi nazionali, dovrebbe comportarsi nello stesso modo.

Inoltre, è mai possibile che si debba subire l’ormai sistematica catechesi rigorista di un Governatore della Bundesbank come Weidmann che, fra l’altro, evidenzia i crediti in sofferenza delle banche italiane, dimenticando però di citare i problemi della Deutsche Bank e le centinaia di migliaia di miliardi di derivati in pancia agli istituti di credito tedeschi? E Renzi non avrebbe dovuto augurargli (ironicamente, certo) di essere in grado di fronteggiare una situazione bancaria ‘delicata’ nel suo Paese che, se deflagrasse, potrebbe rivelarsi devastante per lo stesso Pil tedesco? Ma se malauguratamente crollasse il sistema creditizio della Germania – evento che nessuna persona di buon senso potrebbe augurarsi per le implicazioni sistemiche che assumerebbe a livello mondiale – avremmo ben altro che la grande inflazione tedesca negli anni della Repubblica di Weimar!

Insomma, amici del Corriere, che l’Italia – come ha sottolineato autorevolmente sulla vostra testata il Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano – debba evitare in ogni modo il pericolo di fare da sola in Europa, è opinione pienamente condivisibile, ma è pur vero che il nostro Paese anche per le rilevanti risorse che conferisce al bilancio comunitario, non può e non deve in alcun modo esercitare o subire sempre mediazioni al ribasso. Vi sono dei momenti nelle relazioni internazionali in cui la dialettica deve farsi più intensa e se necessario anche più dura fra le parti, per tentare di addivenire poi a sintesi e compromessi più accettabili per tutti.

Altrimenti diciamo di contare meno in Europa della Lituania e non ne parliamo più.

Federico PirroUniversità di Bari

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