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Perché serve un’Airbus dei mari. Parla Bono (Fincantieri)

“La crescita economica dev’essere supportata da idee, coraggio, capacità di investire e non solo dal denaro” e nel settore navale “è indispensabile rafforzarsi per competere con il mondo”. Secondo Giuseppe Bono, amministratore delegato della Fincantieri, va creato un “Airbus dei mari”, cioè un costruttore europeo di navi, altrimenti “l’Europa sparisce e sparisce anche ogni possibilità di crescita”. I grandi costruttori europei come Fincantieri devono coalizzarsi perché rischiano di soccombere di fronte all’aggressività di altre nazioni. Un’iniziativa come l’“Airbus dei mari”, ha detto Bono, “da sola non basta, però aiuterebbe moltissimo a fare consolidamenti in altri settori”.

Investimenti, sostegno all’industria navale e quindi alla Difesa: è ruotato attorno a questo il convegno organizzato dal Cesi (Centro studi internazionali) su “L’evoluzione della cantieristica navale militare europea: un’opportunità per l’Italia”. Andrea Margelletti, presidente del Cesi, ha citato un numero: 1.800 miliardi di dollari, quanto investirà la Cina nei prossimi decenni. Una sfida impari se l’Europa non si sveglia. L’importanza del settore navale, anche all’interno del Libro bianco, è stata sottolineata dal generale Claudio Graziano, capo di Stato maggiore della Difesa, e il capo della Marina, ammiraglio Valter Girardelli, ha ricordato la definizione di “secolo blu” coniata per evidenziare la sempre maggiore importanza geopolitica del mare. Dunque, ha detto Girardelli, l’Italia ha una programmazione avanzata (con riferimento alla legge navale), ma certo “nell’area del Mediterraneo e in quelle adiacenti cresce la presenza di Marine non regionali e di sommergibili”. Perciò è nell’interesse nazionale insistere nel sostegno all’industria e nella cooperazione.

Concetto, quest’ultimo, ripreso dall’ammiraglio Matteo Bisceglia, direttore degli Armamenti navali, visto che la cooperazione militare nell’Ue “è frammentata: l’Unione spende il 50 per cento di quanto spendono gli Usa, ma con un’efficienza pari a un decimo”. Quello di Bono, invece, è stato una specie di appello alla politica: mentre negli Stati Uniti “l’unità nazionale è fondata sulle Forze armate” ed è “l’industria della Difesa a smuovere l’economia”, “l’Europa rischia di schiantarsi perché non ha la capacità di muoversi su programmi importanti per l’avvenire dei cittadini stimolando un patriottismo europeo come fanno gli americani”. Nel convegno del Cesi, e nell’omonimo opuscolo curato da Francesco Tosato e Michele Taufer, si è parlato anche dell’ipotesi di collaborazione più stretta tra la Fincantieri e l’industria navale francese Dcns: su questo Bono si è limitato a dire che i contatti con i francesi sono continui da vent’anni, “ma non ragioniamo esclusivamente con loro, siamo aperti a tutti” perché “Fincantieri lavora per aggregare l’industria europea della Difesa”. A questo proposito, nell’opuscolo del Cesi la conclusione è che l’Italia dovrebbe supportare la strategia di aggregazione della Fincantieri considerando che in Europa il settore vale 72 miliardi di dollari e occupa 500 mila persone, oltre alle implicazioni strategiche. L’Europa, e in particolare l’Italia ha “la leadership mondiale nella cantieristica militare: l’Europa sa costruire le navi meglio degli Usa” ha detto Bono secondo il quale “non è un caso che solo l’Italia e altri due Paesi europei, Gran Bretagna e Spagna, siano stati preselezionati dal Governo australiano per l’aggiudicazione di una commessa da 25 miliardi di dollari” per rinnovare la flotta.

Nicola Latorre (Pd), presidente della commissione Difesa del Senato, ha condiviso le preoccupazioni pur potendo dare poche rassicurazioni. “La supremazia nei mari – ha detto – concorre a disegnare gli equilibri di potere nel mondo: la Russia ha incrementato la presenza nel Mediterraneo, la Cina potenzia sempre di più il settore marittimo”. E noi? “E’ il tempo delle decisioni” ha detto pragmaticamente Latorre: il problema dell’immigrazione è strutturale, “oggi ce la facciamo, domani non potremo gestirla da soli”; nelle stesse ore del convegno alla riunione informale dei ministri della Difesa a Bratislava si continuava a parlare di difesa comune in termini generici sperando in una decisione concreta al vertice previsto per dicembre mentre “è il tempo delle decisioni” e Latorre spera in “concrete iniziative del Governo considerando che in mare abbiamo le missioni più significative. Mai come sul ruolo dello spazio marittimo e con investimenti nel settore della Difesa l’Italia ha potenzialità come sistema-Paese”.

Una doccia fredda, diplomatica ma pur sempre tale, sulle aspettative del settore navale e dell’intero comparto è arrivata però dal sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi (Centro democratico). “Le politiche richiedono tempo” ha esordito” ed “è evidente che il supporto all’industria sta anche nella disponibilità delle risorse”. Rossi ha ricordato quanto detto dal ministro Roberta Pinotti nei giorni scorsi sul fatto che “non c’è più nulla da tagliare” e che il settore può “utilizzare i risparmi per fare investimenti”. Ma Rossi ha ricordato anche un’altra frase del ministro: “Noi proponiamo che non ci siano tagli alla Difesa, però poi è il Governo che nel complesso assume le sue decisioni”. Alla vigilia di una delicatissima legge di Bilancio e mentre gli impegni non fanno che aumentare, dalla scorta alla diga di Mosul al contingente in Libia, le Forze armate stanno metaforicamente schierando ogni mezzo, dai carri armati ai caccia alla portaerei, per difendere almeno i fondi attuali. Sperando che basti.

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