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Ecco come Zagrebelsky ha toppato contro Renzi da Mentana su La 7

Chapeau! C’è da togliersi il cappello davanti allo spettacolo televisivo dato da Enrico Mentana, su La 7, col confronto fra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky sulla riforma di una quarantina d’articoli della vecchia Costituzione in vigore da 68 anni. Quando ne mancavano ancora 27 alla nascita di Renzi, Zagrebelsky ne aveva solo cinque e i suoi genitori mai avrebbero potuto immaginare che quel bambino sarebbe diventato il giurista, il professore e il magistrato costituzionale così famoso e autorevole da guadagnarsi anche i gradi di capo della campagna referendaria ora in corso contro la riforma costituzionale, e quindi in difesa della Costituzione vigente.

La qualifica di “capo”, in verità, a Gustavo Zagrebelsky non piace per ragioni non foss’altro culturali, come ha spiegato nel dibattito col presidente del Consiglio criticando il ricorso che se ne fa nella nuova legge elettorale della Camera, chiamata Italicum e diventata, a suo modo di vedere, un moltiplicatore dei difetti e dei pericoli della riforma costituzionale. Che, se approvata, con quel premio di maggioranza, che lui preferisce chiamare “di minoranza”, perché assegnato appunto dall’Italicum nel ballottaggio ad una delle due minoranze più forti uscite dal primo turno elettorale, snaturerebbe la democrazia. E la farebbe diventare “oligarchia” per i capilista eletti d’ufficio, inoltre autorizzati a presentarsi in più collegi, per cui nel momento in cui scelgono quello di elezione scelgono anche i loro subentranti. Una cosa, questa, che Renzi nel confronto televisivo ha riconosciuto che andrebbe cambiata, non solo confermando la sua disponibilità a mettervi mano ma anche annunciando “una iniziativa” del suo partito per modificare l’Italicum, per quanto approvato l’anno scorso –va ricordato- con tanto di voto parlamentare di fiducia, che è il massimo della disciplina imposta ai gruppi della maggioranza.

Già questo annuncio potrebbe bastare a Zagrebelsky e ai suoi tifosi per cantare vittoria. Ma temo che non sia bastato né basterà perché costoro sono come San Tommaso, che per credere alla resurrezione di Gesù ne volle toccare le ferite procurategli dalla crocefissione. E sarà ben difficile, diciamo pure impossibile, che prima del 4 dicembre, quando si voterà per il referendum costituzionale, le Camere potranno avere già approvata, con la confusione che c’è fra e nei partiti su questa materia, una ulteriore riforma della riforma elettorale.

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Oltre alla qualifica e figura di “capo”, non piace a Zagrebelsky il verbo “vincere”, usato invece di continuo da Renzi e dai suoi amici per esprimere la necessità che una legge elettorale produca appunto un vincitore, destinato a governare stabilmente per la durata della legislatura, relegando l’opposizione – dice Zagrebelsky – in una specie di gabbia alla quale non potrebbe sottrarsi neppure con lo “Statuto dell’opposizione”, appunto, che la riforma costituzionale ha introdotto. Ma che sarà redatto e approvato – ha ricordato Zagrebelsky – dalla maggioranza della Camera prodotta col già da lui ricordato e deprecato “premio di minoranza”.

A queste pur argute osservazioni, fatte – debbo dire – col tono pacato e un po’ anche beffardo del professore convinto del fatto suo, Renzi ha reagito senza il complesso d’inferiorità dello studente laureatosi in giurisprudenza – ha confessato lui stesso – sui testi di diritto costituzionale del suo interlocutore e sfidante.  Il presidente del Consiglio si è difeso con argomenti politici e di buon senso sicuramente più comprensibili di quelli quasi filosofici usati da Zagrebelsky per sostenere una certa incompatibilità, o quasi, fra i concetti della democrazia e della vittoria.

Un elettore – diciamo la verità – quando va a votare lo fa nella speranza di far vincere la propria parte e di far perdere l’altra. Anche se poi nell’esercizio del governo il vincitore non può sottrarsi all’obbligo di rispettare le regole, che precedono le elezioni e tutelano anche chi ha perso. Regole che si trovano, oltre che nei regolamenti di competenza parlamentare, nella stessa Costituzione, al di là quindi dello “Statuto dell’opposizione” enfaticamente introdotto nella riforma costituzionale ma cui dovrà provvedere – come ha beffardamente osservato Zagrebelsky – la maggioranza.

Sarebbe stato forse meglio che già nella riforma costituzionale si fosse stabilita una maggioranza molto qualificata della Camera per l’approvazione di quello Statuto. Ma – ripeto – garanzie per la o le opposizioni esistono già nella Costituzione, a prescindere dallo Statuto di cui si è vantato e si vanta Renzi.

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Zagrebesky ha toppato di brutto quando, dismettendo i panni del professore e del giurista, ha ceduto alla tentazione dell’attore politico, con tutte le esasperazioni della polemica appunto politica, per sminuire curiosamente il valore di tutte le migliori Costituzioni di questo mondo dicendo che possono essere applicate male, con lo stile e i metodi – ha ricordato – di quell’orribile dittatore africano Bokassa, accusato di divorare nel vero senso della parola i suoi oppositori.

A questo assai infelice affondo del presidente, a questo punto, poco emerito della Corte Costituzionale Renzi ha saputo reagire con tale vigore che il professore ha dovuto non dico scusarsi, ma precisare ch’egli alludeva ai rischi non del presidente del Consiglio in carica ma di chi potrebbe un giorno succedergli. Cosa che di per sé smonta tutto l’antirenzismo personale di cui è infarcita grandissima parte della campagna referendaria del no, in cui lo stesso Zagrebelsky si ritrova in compagnia di oppositori inaciditi come Beppe Grillo, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Un Berlusconi al cui solo nome il professore ha opposto nel confronto televisivo smorfie di tipo ben poco accademico. Circostanza, questa della compagnia con Berlusconi, che Renzi ha efficacemente contestato a Zagrebelsky, uscito un po’ male anche dalle incoerenze dimostrategli dal presidente del Consiglio fra i vari manifesti del no da lui firmati, ma soprattutto ricordando una sua intervista di tre anni fa a Repubblica a favore di quel premio di maggioranza, o di minoranza, che oggi contesta così severamente. “Lei deve fare pace con se stesso”, gli ha detto Renzi.

Maluccio è uscito Zagrebelsky anche dallo scontro sulla differenza fra i tre quinti della maggioranza dei membri delle Camere o dei presenti alla votazione per l’elezione del presidente della Repubblica, entrambe previste dalla riforma costituzionale: differenza che per la sua tecnicalità era di difficile comprensione per il pubblico che ascoltava.

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Al di là tuttavia del contenuto del confronto, e delle pietre che Zagrebelsky ha potuto togliersi dalle scarpe rimproverando a Renzi e amici le qualifiche di “parruccone e gufo” in cui il professore non a torto – debbo dire – si è riconosciuto nelle polemiche dei mesi scorsi, e di cui lo stesso Renzi ha poco efficacemente cercato di tirarsi fuori, credo che si debba onestamente riconoscere al presidente del Consiglio il coraggio di avere accettato il confronto con un rivale che aveva tutti i motivi di temere. E contro il quale avrebbe avuto la possibilità di farsi rappresentare da una personalità, del proprio schieramento, di pari grado o competenza.

Ripeto la parola d’inizio: chapeau. Giù il cappello.

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