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L’establishment che sta con Hillary rafforza i suoi, ma mette in crisi gli indecisi

Venerdì scorso Wikileaks ha diffuso un set di mail rubate a John Podesta, il capo del comitato elettorale Clinton-2016. Non ci sono particolari scottanti, ma trattandosi di conversazioni confidenziali ci sono elementi che possono essere elettoralmente imbarazzanti per la candidata democratica. Per esempio, ci sono le trascrizioni per intero dei discorsi a porte chiuse che Hillary Clinton ha tenuto a pagamento (si parla di tre interventi da 600 mila dollari di compenso, già argomento di polemica durante le primarie) per alcune banche d’investimento americane. Risalgono al 2013, periodo successivo al suo incarico da segretario di Stato e prima che si candidasse alla Casa Bianca (dunque un lasso di tempo in cui Hillary poteva fare quel che voleva) e anche queste trascrizioni non sono particolarmente compromettenti, ma sono un documento granitico e ora pubblico dello stretto rapporto che la Dem ha con il sistema di potere di Wall Street (“Le persone che conoscono meglio l’industria di Wall Street [e possono riformarla] sono quelle che ci lavorano” diceva). Al netto dell’ultima uscita di Donald Trump, quella sulle sue maniere con l’altro sesso (detto elegantemente) che forse potrebbe compromettere definitivamente la sua corsa elettorale, avrebbero potuto rappresentare un problema.

IL DISCORSO IN OHIO

Lunedì a Toledo, Ohio, Clinton ha tenuto un discorso appassionato e abbastanza di sinistra, puntando il dito su alcuni comportamenti sleali delle grandi aziende. Esempi citati, per rendere l’idea: lo scandalo dei conti bancari falsi aperti dalla Wells Fargo, l’aumento del prezzo del farmaco anti-shock anafilattico EpiPen da parte della Mylan,”l’ultimo esempio inquietante di una società che ha approfittato dei suoi consumatori” l’ha definito). “Oggi voglio inviare un messaggio a ogni sala riunioni, ogni suite executive in tutta l’America: se voi truffate i clienti, sfruttate i dipendenti, inquinate il nostro ambiente, evadete le tasse, noi troveremo il modo di incastrarvi come responsabili” ha detto Hillary, e ancora: “È scandaloso che dopo otto anni dalla cultura da cowboy a Wall Street, che ha distrutto la nostra economia, stiamo ancora assistendo a potenti banchieri che giocano a tira e molla con la legge”. Non sfugge che quei “cowboy” sono gli stessi dei discorsi a pagamento riportati nelle mail di Podesta. Per questo non può sfuggire neanche che le parole di Toledo servono alla candidata per due scopi sovrapposti: il primo è accattivarsi il voto dei millenials, la classe elettorale più giovane ha infatti sempre sostenuto il suo sfidante alla primarie, Bernie Sanders, è orientata più sinistra di Clinton, e non si fida di lei e del suo essere stata per lungo tempo parte dell’establishment – farlo in Ohio ha un peso, perché è uno stato importante, dove lo stesso Sanders era venuto in soccorso dell’ex avversaria con un tour a metà settembre. Il secondo scopo, corollario del primo, è affrancarsi da tutta quella serie di sostegni che nel corso dei mesi di campagna ha ricevuto da parte di notabili della cosiddetta Corporate America.

HILLARY È PRESIDENZIABILE…

Secondo un’analisi del Wall Street Journal da quando Donald Trump è stato incoronato ufficialmente alla convention del partito repubblicano (Cleveland, 18-21 luglio) le donazioni al Grand Old Party sono sensibilmente calate, soprattutto quelle ascrivibili ai top manager della Fortune-100, la lista che il magazine stila sulle prime cento società americane per fatturato. Ossia, al Gop manca il sostegno economico di elettori forti e storici, che anzi stanno muovendo le truppe per dare appoggio a Hillary. E lo fanno senza nemmeno la necessità di coprirsi troppo, anzi, cercano di sottolineare la propria posizione e il proprio impegno; su tutti forse c’è Meg Whitman, Ceo di Hewlett-Packard ed ex candidata Rep per guidare la California. “Quest’anno è diverso” sembra essere il mantra. Da un lato colui che sta sconvolgendo la politica mondiale con colpi da pazzo (letterale) come chiedere pubblicamente che la Russia violi i server della sua avversaria e ne trasmetta al mondo le malefatte – mentre la Russia al momento è considerato il primo avversario strategico da Washington – o insultare i genitori musulmani di un veterano morto in Iraq, oppure ancora aver sostenuto per mesi che Barack Obama non era nato negli Stati Uniti, salvo poi tornare indietro. Dall’altro c’è una perfetta candidata, la più qualificata di sempre dicono i commentatori americani, che incarna il ruolo come un bespoke. Eppure la differenza dei voti nei sondaggi, anche in quelli dei singoli stati non è così abissale; e adesso cominciano ad avere un senso queste statistiche, visto che da due settimane le votazioni sono già partite, con l’inizio dell’invio delle schede per corrispondenza in North Carolina, Alabama e Minnesota (l’8 novembre, giorno dell’election day, circa il 30 per cento degli americani dovrebbe aver già votato).

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… E PER QUESTO I CEO LA SOSTENGONO

È lunga la lista di quelli che stanno con Hillary, dal ceo di Apple Tim Cook, a Mark Parker, l’amministratore delegato della Nike, e Doug Parker di American Airlines. Poi c’è Roger Crandall, ceo della Massachusetts Mutual Life Insurance, uno che lo scorso anno ha finanziato Jeb Bush, e alle ultime presidenziali Mitt Romney (entrambi repubblicani). Ed è quasi fatta per l’endorsement economico di Chuck Robbins, ceo di Cisco: quello a parole è già arrivato, “Clinton è un’ottima candidata” ha detto il capo della multinazionale della tecnologia. Nomi un po’ meno noti ma lo stesso molto importanti per quello che rappresentano sono per esempio quelli del presidente di PayPal John Donahoe, del fondatore della Khosla Ventures Vinod Khosla, della Ceo di YouTube Susan Wojcicki e di quello di Expedia Dara Khosrowshahi, del creatore di Opower Alex Laskey e dell’amministratore di Sprint Marcelo Claure (rispettivamente, nell’ordine: la più grande società per i pagamenti online; una venture capital che finanzia start up nel mondo delle clean technologies; c’è qualcuno che non sa cos’è Youtube?; il più grande sito per prenotare viaggi nel mondo; una società di software via cloud a cui nel 2011 il World Economic Forum ha riconosciuto lo status di Technology Pioneer; il quarto più grande operatore di telefonia mobile americano, con quasi sessanta milioni di clienti).

IL PROBLEMA ELETTORALE

Sono effettivamente personaggi che piacciono agli elettori più convinti di Clinton, quelli che per esempio pressano sul tasto della presidenziabilità, ossia la capacità del candidato di incarnare il ruolo da presidente, sotto tutti gli aspetti, sia quello estetico comportamentale che quelli operativi. E dunque l’appoggio di certi elementi dell’America corporativa (in questo caso potremmo definirli anche neo-establishment, riferendoci ai guru di società che fanno parte del mondo adesso forte delle industrie tecnologiche) rafforza Hillary tra il suo elettorato. Però potrebbe rappresentare un problema tra gli indecisi, perché questo portafoglio di elettori potrebbe vedere Clinton ancora più dipinta del ruolo di rappresentate dell’apparato del potere, dove i manager della Silicon Valley sono un semplice maquillage. Questa per esempio è una leva elettorale per Trump: se il Sistema sta contro di lui, vuol dire che abbiamo scelto bene, pensano i suoi supporter. Quanto però di quel Sistema sia realmente convinto di Hillary in termini assoluti non è chiaro: in molti l’appoggiano perché ritengono l’altro impresentabile. È per questa ragione che il New York Times, nel suo editoriale di endorsement a Clinton ci ha tenuto a sottolineare che il sostegno dell’Editorial board non arriva per semplice contrapposizione complementare a Trump, ci sono delle qualità indiscutibili in Hillary. Meno convinti altri, per esempio l’Atlantic –che in 159 anni di storia ha appoggiato soltanto tre volte un candidato presidenziale, Abramo Lincoln e Lyndon Johnson, e adesso Hillary Clinton –: il titolo dell’editoriale di sostegno è “Against Donald Trump” (sintesi: ci piace la candidata democratica, ma siamo più che altro preoccupati per quello che può essere il repubblicano). Il punto è quel che passa all’elettore. Anche la star del basket Lebron James s’è sentito in dovere di fornire il proprio supporto a Clinton, e lo ha fatto con un editoriale uscito su Business Insider il giorno stesso in cui la candidata è passata per Akron, la sua città natale nel profondo Ohio; è che solo, anche in questo caso, LBJ, seppur campione assoluto, rappresenta una sorta di establishment del mondo Nba, e per questo è odiato da almeno la metà dei fan della pallacanestro globale. La concretizzazione del problema arriva dalla cronaca di questi giorni: una delle hillblazer più attive per Hillary-2016 (gli hillblazer sono coloro che hanno alzato più di centomila dollari di fondi per sostenere la candidata: c’è una lista continuamente aggiornata sul sito della campagna, una di vanto secondo i dem) è stata la Ceo di Yahoo! Marissa Mayer, personaggio pubblico di primissimo piano. Due giorni fa un’inchiesta Reuters ha scoperto che la società diretta dalla Mayer ha fornito dati privati dei propri utenti alle agenzie di sicurezza americane senza avvisare i clienti. Si tratta di una violazione della privacy fatta per una ragion di stato (Fbi e Nsa stavano facendo indagini), dice la difesa, è una violazione non dichiarata, rilancia l’accusa. È esattamente questo il genere di cose che per gli elettori indecisi rappresenta, graniticamente, la scarsa fiducia che hanno nei confronti di Hillary, carne di un Sistema da cui si sentono sopraffatti: ed è per questo che se per una fetta di votanti l’appoggio dei riferimenti dell’establishment è una certezza, quest’anno ce ne sono molti altri che lo vedono come una cosa non del tutta positiva. Da qui nascono i discorsi come quello di qualche giorno fa in Ohio.

(Foto: Flickr, Hillary Clinton scende dal suo aereo e sale sull’auto del Secret Service ad Akron, Ohio)

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