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Riforma pensioni e Ape, ecco accordo e incognite

Quello raggiunto dopo mesi di confronto, lo scorso 28 settembre, non si può definire un accordo sulle pensioni. Il verbale ci tiene a precisare che sono stati sintetizzati soltanto “gli elementi di fondo emersi nel corso di una discussione approfondita e circostanziata sulle problematiche aperte in campo previdenziale, una discussione che ha fatto emergere un giudizio articolato da parte dei soggetti del confronto e che per le OO.SS. non esaurisce gli elementi della loro piattaforma”. Eppure, che ci sia stato uno scambio politico è evidente.

Il Governo ha reso i sindacati protagonisti di un negoziato su di una materia che sta in cima alle loro priorità, mentre si è assicurato un sostanziale lasciapassare sull’Anticipo pensione (Ape) prima che continuasse il fuoco di fila aperto dai media “sfasciacarrozze” sempre pronti a mitragliare ogni autoambulanza della Croce Rossa al solo scopo di solleticare l’invidia sociale di chi guarda la tv. Ovviamente, da queste considerazioni si comprende anche che cosa hanno ottenuto i sindacati in cambio di una prova di responsabilità: a parte il riconoscimento di essere interlocutori esclusivi del Governo, le promesse contenute nel verbale – ancorché generiche e programmatiche – ricoprano un’area ampia (pur se non esaustiva) di tutti i cahiers de doléance aperti in tema di pensioni.

Nella fase 1 – nell’ambito della legge di bilancio – saranno contenute, in aggiunta all’Ape, alcune misure di contorno come la ricongiunzione contributiva gratuita, l’estensione della c.d. quattordicesima in un’ottica di miglioramento dei trattamenti più modesti, allineamento della no tax area per i pensionati over 74 anni, agevolazioni in caso di lavori usuranti e di lavoratori precoci e quant’altro. Mentre nella successiva Fase 2 saranno affrontate problematiche di carattere più strutturale, tra cui si accenna all’introduzione di una “pensione contributiva di garanzia” al fine di salvaguardare i trattamenti medio-bassi.

Come abbiamo detto, però, la partita vera si gioca sul terreno dell’Ape (un anticipo fino a 3 anni e 7 mesi rispetto all’età legale per il trattamento di vecchiaia), che ha natura di prestito bancario-assicurativo: il verbale lo definisce “un flusso finanziario ponte di ammontare commisurato alla pensione di vecchiaia attesa al raggiungimento dei requisiti anagrafici e certificata dall’Inps; flusso erogato fino alla maturazione degli ordinari requisiti pensionistici di età per la pensione di vecchiaia. Per l’Ape è previsto un periodo di sperimentazione della durata di due anni”. Tale prestazione si suddivide in Ape volontaria e in Ape sociale: la prima è a disposizione di chi decide di fruire del prestito ma non è in grado di fare valere quei requisiti personali o familiari che gli consentirebbero di usufruire dell’Ape sociale quali: lo stato di disoccupazione con assenza di reddito, la gravosità del lavoro (pesante o rischioso) per la quale la permanenza al lavoro in età più elevata aumenta il rischio di infortunio o di malattia professionale, le condizioni di salute, i carichi di lavoro di cura legato alla presenza di parenti di primo grado conviventi con disabilità grave. La “socialità” di questa fattispecie di Ape si realizza tramite la definizione di bonus fiscali aggiuntivi o di trasferimenti monetari diretti, volti a garantire un “reddito ponte” interamente a carico dello Stato per un ammontare prefissato (ferma restando la facoltà dell’individuo di richiedere una somma maggiore). Tale intervento di favore riguarderà le categorie di lavoratrici e lavoratori ritenuti in condizioni di maggior bisogno, sulla base dei requisiti sopraccennati. È sufficiente un sol colpo d’occhio per rendersi conto che il verbale è molto più generico e restio di quanto è stato scritto ed affermato, in proposito, nel corso delle settimane in cui si sono svolti gli incontri tra i rappresentanti del Governo e dei sindacati, sia in sede tecnica che politica. Anche degli annunciati sei miliardi di copertura finanziaria, in tre anni, non vi è traccia nel documento, pur essendo chiaro che sarà l’ammontare delle risorse stanziate a riempire di contenuti gli impegni sottoscritti, non essendo possibile il contrario, poiché dare risposte compiute a tutti i punti comporterebbe un carico finanziario insostenibile e non disponibile.

Per quanto riguarda l’Ape volontaria chi scrive considera giusto il principio per cui chi la vuole se la deve anche pagare, con rate ventennali riportate sull’importo dell’assegno pensionistico liquidato al momento della maturazione dei requisiti vigenti. Pertanto non è il caso di preoccuparsi se l’anticipo, in questa fattispecie, sarà o meno conveniente. Chi sceglierà l’Ape volontaria avrà i suoi buoni motivi per farlo; altrimenti continuerà a lavorare. Anche nel caso del pensionamento esiste il libero arbitrio. Ovviamente circolano conteggi che indicano quali potrebbero essere i tagli sugli assegni pensionistici derivanti dalla restituzione del prestito. E vengono messi a confronto con quelli attribuibili alle penalizzazioni previste nei progetti riguardanti il c.d. pensionamento flessibile. Dimenticando due aspetti fondamentali: il primo è che – secondo l’Ufficio parlamentare del bilancio (Upb) – nelle proposte di flessibilità (Damiano e Boeri) le penalità previste per ogni anno di anticipo sono inferiori al valore che garantirebbe una neutralità attuariale tra la scelta di usare flessibilità e quella di pensionarsi con i requisiti vigenti.

Il secondo – sicuramente più prosaico – riguarda il fatto che l’Ape, essendo un prestito di carattere privato, è un’erogazione esentasse (così è confermato anche nel verbale), mentre non lo sarebbe una pensione anticipata. Pertanto occorrerà inserire anche questo elemento nel calcolo delle convenienze. Sorge poi un altro delicato problema: come funzionerà l’operazione bancaria/assicurativa? Nessuno fino ad ora ne ha parlato. Quanto contenuto nel verbale non è di facile interpretazione: “Il lavoratore o la lavoratrice interessati – è scritto – scelgono l’istituto di credito e la società assicuratrice fra quelli aderenti a un’apposita convenzione stipulata con il ministero dell’Economia e delle Finanze, nella quale saranno definite le condizioni standard di miglior favore”. C’è poi la c.d. Ape aziendale. Nei preliminari si era affacciato l’ipotesi di mettere a carico (in tutto o in parte) delle imprese l’Ape riguardante i lavoratori in esubero. Nel testo del verbale – giustamente – questa scelta è diventata una possibilità da esercitare nel quadro della contrattazione collettiva in presenza di processi di ristrutturazione, riconversione e riorganizzazione.

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