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Perché Donald Trump secondo me è pericoloso

Lingotto, 5 stelle, molestie

Non mi meraviglia più di tanto il “Pussy – gate” di cui è protagonista in questi giorni Donald Trump. Mi meraviglia anzi che tutti se ne meraviglino e prendano le distanze. È come se si invitasse ad una cena di nobili un camionista (con rispetto parlando della categoria) e ci si sorprendesse che egli non sa stare a tavola e né sa seguire le regole del galateo.

Non ci voleva tanto a capire che Trump sia uno dei tanti gradassi, e ce ne sono tanti, che comunemente usano un linguaggio “da caserma”, con toni fortemente maschilisti (oggi non so perché si dice “sessisti”). Alcuni lo fanno per convinzione, altri per darsi un tono, altri ancora per pura provocazione (e qualcuno, non è certo il caso di Trump, anche “per gioco”).

Bastava sapere qualcosa sul personaggio, o anche solo vederlo o ascoltarlo, per inserirlo nella categoria. Ove è la meraviglia? Il clamore che il caso suscita ora, solo ora, ci dice però qualcosa su questa strana campagna elettorale americana. Prima di tutto ci dice che il Paese è diviso in due. Da una parte, c’è un’ideologia “politicamente corretta” che ha preso forme nel tempo nei campus, fra le élite colte e liberal, negli organi di informazione e opinione.

Si tratta in sostanza di una sorta di “neopuritanesimo” che delimita con certosina pignoleria l’ambito del dicibile e dell’indicibile. Il quale ultimo poi non sempre coincide con il non fattibile. E qui ha buon gioco Trump a ricordare tutti gli scandali sessuali di cui è costellata la vita di Bill Clinton, anche se è la moglie e non lui è il candidato del partito avversario.

Dall’altra parte, c’è però forse un’America che si oppone a questo puritanesimo di ritorno, e a cui Trump ha dato per la prima volta non solo espressione ma forse anche forma. Ma lo ha fatto in un modo esagerato, estremo, maleducato. Soprattutto lo ha fatto con ignoranza e con l’effetto di trasformare l’anti-conformismo in un nuovo conformismo, nel riflesso pavloviano di mettersi le mani nel naso a tavola solo per fare un dispetto a chi esagera con il richiamo alle buone maniere. Le quali, organizzate come sono in una casistica minuziosissima, perdono ogni naturalezza e scadono di fatto in una sostanziale ipocrisia.

La polarizzazione degli estremi, in una parola. Nell’uno caso e nell’altro: mancanza di spirito critico, ragionevolezza, misura, buon senso. Essendo, soprattutto le ultime due, classiche virtù dello spirito conservatore, c’è da chiedersi come abbia potuto così ridursi il Grand Old party (c’è chi dice che esso si sia destrutturato non avendo retto alla forza d’urto dei Tea Party, ma sinceramente non saprei dire). Probabilmente un tempo certe affermazioni, ripeto molto diffuse in un certo mondo maschilista e rozzo, e non da oggi, non avrebbero destato scalpore e indignazione: sarebbero state ignorate o al massimo compatite con un sorriso di circostanza.

Ma un tempo un Trump candidato ultimo dei repubblicani non era neppure minimamente concepibile. Il sistema, fra l’altro, aveva in sé gli anticorpi per eliminarlo prima di arrivare al rush finale. il senso ultimo delle primarie e della lunga campagna elettorale presidenziale è stato sempre proprio quello di portare a una selezione dei candidati. Questa volta i meccanismi volti al “setaccio” non hanno però funzionato. Ed è una delle altre cose che il caso Trump a noi dice, indipendentemente dal “Pussy gate”.

Perché è saltato, in questo frangente, un sistema pure così tanto sperimentato? Fra l’altro, l’impegno massiccio della stampa per far emergere magagne più o meno grandi dal passato dei candidati, di cui il machismo di Trump e le email di Hillary sono la versione attuale, rientrano da sempre  proprio in questa dialettica democratica. Il gioco è duro. E non c’è da stupirsene vista la posta in gioco: il governo del Paese più influente al mondo, l’elezione in un certo senso del leader mondiale.

In ogni caso, la vera questione è un’altra. Trump non è pericoloso infatti, a mio avviso, per il suo “sessismo”, ma perché è un candidato impreparato, inadeguato, imprevedibile e bizzarro, pronto a vendere persino i valori che reggono l’Occidente. Mai un candidato avrebbe affermato che il leader di un paese avverso, cioè Putin, è preferibile al candidato avversario! C’è stato sempre un certo fari play fra i competitors, una complicità di sistema, appunto, che andava oltre la durezza non nascosta del conflitto.

L’America  prima di tutto è stato sempre l’implicito sottinteso “patriottico” di tutti i candidati e presidenti americani, conservatori o democratici che fossero. A questo punto è chiaro che una pessima candidatura come quella di Hillary Clinton, che in tempi normali non ci saremmo augurati per il futuro dell’America, diventa, anche per chi non nutre simpatia per lo spirito democratico o liberal, una specie di “male minore”. Almeno in politica estera e di difesa, che è poi ciò che per gli USA e per noi più conta, l’ex first lady dà molte più garanzie, più sicurezza. Nonostante i suoi difetti innegabili: ad esempio l’appartenenza a una una vecchia oligarchia di potere con i suoi cospicui interessi da difendere; oppure, il suo strizzare l’occhio a tutti i miti della retorica democratica (anche se forse è meno legata di Obama a certa ideologia liberal e multiculturalista).

Certo, dopo otto anni di potere democratico una svolta repubblicana sarebbe stata auspicabile anche in un’ottica sistemica. Uno dei pregi di quel modello americano che ora è saltato è stato anche sempre quello di favorire il ricambio: spesso il presidente è stato saggiamente riconfermato al secondo mandato (quattro anni per realizzare certe politiche possono infatti essere pochi), ma dopo due presidenze di un partito l’elettorato ha spesso preferito il candidato del partito avverso. Immettendo così nuova classe dirigente e nuove idee nel sistema. Se ciò questa volta non avverrà, il partito repubblicano non avrà da recriminare nessun altro se non se stesso: avrà perso con un avversario “debole” e a portata di scandalo.

Ma anche se (malauguratamente) vincerà Trump, il partito repubblicano avrà perso comunque: il miliardario non lo rappresenta oggi fino in fondo, né soprattutto rappresenta la sua vecchia e gloriosa storia. La crisi di uno dei due perni del sistema, è però, ripeto, la crisi del sistema stesso. Ed è questo oggi deve preoccupare un po’ tutti coloro che hanno a cuore le libertà americane. Al di qua è al di la dell’oceano.

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