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Bergoglio e il conclave dei Gesuiti

Papa Francesco

Fedelissimi al papa e nei secoli fidati consiglieri e confessori di principi e potenti. Missionari ardimentosi fino ai confini del mondo e coltissimi maestri del discernimento, nella difficile arte di mediare tra culture profane e istanze evangeliche. Sono i gesuiti, l’ordine religioso più numeroso della Chiesa cattolica (li supererebbero i francescani, se non si fossero divisi in tre famiglie, tra Minori, Conventuali e Cappuccini). Contano su un esercito di 16.740 confratelli: 5000 in Europa, 5000 in America, 5600 in Asia e Oceania, 1600 in Africa. Dal 2 ottobre sono riuniti per il loro 36esimo conclave che venerdì 14 eleggerà – salvo improbabili, ulteriori scrutini – il successore di sant’Ignazio. Dalla Congregazione generale ne uscirà il primo “papa nero” con un papa gesuita al Soglio di Pietro.
Un paradosso, perché ai gesuiti più preparati viene chiesto di rinnovare, oltre ai tre voti di povertà, castità e obbedienza, il quarto di obbedienza al Santo Padre. Un voto speciale che lo stesso Jorge Mario Bergoglio pronunciò nel 1973.

DONDE VENITE? CHI SIETE? DOVE ANDATE?

Sembrano le domande del doganiere di “Non ci resta che piangere”. Ma semmai sono Troisi e Benigni a riprendere la trama dell’accorato discorso di Paolo VI, 10 anni prima, rivolto alla Compagnia di Gesù in occasione della XXXII Congregazione generale dell’ordine. E’ il 1974. “Donde venite? Chi siete? Dove andate?”. Ad ascoltare quelle domande c’è anche padre Jorge, oggi papa Francesco.
Un discorso di grande vicinanza, ma anche di preoccupazione di papa Montini verso quanto poteva e stava accadendo nell’ordine. E che di lì a poco si squarciò in una frattura che si è infilata fino ai tempi più recenti. Un subbuglio post conciliare tra carisma e istituzione che forse neppure l’elezione del primo gesuita al Soglio ha sanato del tutto.

QUANDO IL GIOVANE BERGOGLIO ERA UN GESUITA PAPISTA, PERCIÒ DISCUSSO

Nel 1973, ad appena 36 anni, Bergoglio è diventato il provinciale (cioè il superiore) dei gesuiti di Argentina. Giovane, troppo giovane per quel compito, ha ammesso in una intervista lo stesso pontefice. Anni turbolenti: gravi questioni economiche da affrontare, crisi di vocazioni. Sono gli anni dell’affacciarsi e poi dell’esplodere della dittatura militare. Soprattutto sono gli anni della teologia della liberazione. Bergoglio è accusato dai confratelli di prendere parte; di essere un ultraconservatore, un preconciliare. Uno che rema contro ai venti nuovi da cui non disdegna di farsi coinvolgere il suo superiore generale del tempo, padre Arrupe.

Bergoglio era “un gesuita molto discusso”, come ha riassunto la sua biografa e amica, la giornalista argentina Elisabetta Piqué. Tanto che quando poi – dopo anni molto duri per padre Jorge, messo all’angolo all’interno del suo ordine, esiliato a fare il confessore per due anni a Cordoba, lontano da Buenos Aires – monsignor Bergoglio a volte vola a Roma, prima da vescovo e poi da cardinale, non abita alla Casa generalizia in Borgo Santo Spirito, poche centinaia di metri dal Vaticano. Alloggia invece alla Casa del clero di via della Scrofa 70. Pieno centro di Roma, ma dall’altra parte del Tevere. E’ da lì che prima dell’inizio del conclave che lo eleggerà papa, il 13 marzo 2013, si incammina verso quella Casa Santa Marta che ancora lo ospita.

Poche ore dopo il discorso di Paolo VI del dicembre 1974, c’è uno sgarro clamoroso a Montini sulla questione del IV voto di obbedienza al pontefice che la Compagnia vuole estendere dalla milizia scelta a tutto l’ordine: i gesuiti di tutto il mondo ne discutono in assemblea nonostante Paolo VI avesse dato parere contrario. La rottura vera esplode con Giovanni Paolo II. E per questioni che vanno oltre l’obbedienza al successore di Pietro. Nel 1979 così si rivolge Wojtyla ai padri: “Non ignoro che la crisi, la quale in questi ultimi tempi ha travagliato e travaglia la vita religiosa, non ha risparmiato la vostra Compagnia, causando disorientamento nel popolo cristiano, e preoccupazioni alla Chiesa, alla gerarchia ed anche personalmente al papa che vi parla”. Richiamo netto affinché si procuri “con la dovuta fermezza, rimedio alle deplorate deficienze”. I problemi sono soprattuto le contaminazioni con le varie teologie della liberazione, le istanze di giustizia del popolo – in particolare in America Latina – che si stanno trasformando in niente affatto celati schieramenti politici. Nel 1980 Arrupe presenta le dimissioni – primo Padre generale a farlo in 450 anni di storia dell’Ordine. Il papa le rifiuta, ma poco dopo dà il via libera al commissariamento della Compagnia.
In quegli anni Bergoglio fa il gesuita: sta col papa. Quindi, come chiedeva Wojtyla, vicino ai poveri, ma senza cedere a questa o quella ideologia politica. Che ai tempi voleva dire qualcosa di più o meno confuso dentro la galassia del marxismo. Forse anche da qui nasce la leggenda nera che dipinge padre Jorge fiancheggiatore della dittatura militare argentina. Era tutto il contrario. Una leggenda smontata punto per punto da Nello Scavo (“La lista di Bergoglio”, Emi).

I PAPI E I GESUITI DOPO IL CONCILIO

I gesuiti furono soppressi dal francescano Clemente XIV nel 1773 e riabilitati dal benedettino Pio VII una quarantina di anni dopo. Storie vecchie. E’ negli ultimi 50 anni che i rapporti della Compagnia con i papi son stati veramente difficili. Han cominciato a incrinarsi dopo il Vaticano II. Paolo VI e poi, ma non ci fu il tempo, Giovanni Paolo I. C’è chi riferisce che la notte della sua morte, Luciani stesse limando un discorso da tenere ai padri. Un discorso uscito postumo, nel quale il papa richiamava la Compagnia, “nei grandi problemi economici e sociali”, a “distinguere i compiti dei sacerdoti religiosi da quelli che sono propri dei laici”.
Con Benedetto XVI benevolenza e richiamo forte e deciso sono note dello stesso spartito. Alla Congregazione generale della Compagnia del 2008 Ratzinger domanda obbedienza e fedeltà dottrinale, in particolare su punti “oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare, come, ad esempio, il rapporto fra Cristo e le religioni, taluni aspetti della teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale, soprattutto per quel che riguarda l’indissolubilità del matrimonio e la pastorale delle persone omosessuali”. Non sempre è stato seguito.

PER CHI VOTEREBBE IL PAPA GESUITA?

E’ una “Monna Lisa, impenetrabile come la Gioconda”. Così, riferisce Piqué, alcuni gesuiti soprannominavano Bergoglio prima che fosse fatto papa. “Un uomo a cui è sempre piaciuto il potere”, tratteggia il giornalista argentino, Nelson Castro.
Francesco ha più volte parlato ai suoi confratelli. In attesa del discorso che Bergoglio terrà dopo l’elezione del superiore dei suoi confratelli, Civiltà Cattolica ne ha raccolto, nel numero uscito a fine settembre, una sorta di discorso previo. Una sintesi dei vari interventi di Bergoglio in questi tre anni da pontefice. Centralità di Cristo e servizio alla Chiesa. Ovviamente. C’è poi il naturale spazio per descrivere i caratteri del gesuita “uomo di dialogo” e “uomo di discernimento”. Ci mancherebbe. E ci sono righe per il gesuita “uomo di frontiera”, ma non per sostenere quella o quell’altra ideologia politica o sociale da sposare sul mappamondo, ma “per sostenere l’azione della Chiesa in tutti i campi della sua missione”. Tutti.
Un discorso di un gesuita fatto alla Compagnia dall’interno della Compagnia, ma senza sconti a eventuali fughe in avanti o chicane “sinistrine”, pur nello stile del dire e non dire a cui ha abituato il papa argentino. Come giudicherà a breve le vicende della sua Compagnia la “Gioconda-Bergoglio”, impenetrabile secondo alcuni suoi confratelli, è faccenda che riguarda ben più del suo ordine religioso.

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