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Apsa, Ior e i fondi per il Bambin Gesù

Forse è solo un problema di interpretazione letterale dell’evangelica parabola dei talenti e l’urgenza di farli fruttificare. Dove i talenti in questo caso sono soldi, tanti – milioni – che saranno pure investiti ad maiorem Dei gloriam, ma in operazioni finanziarie che, se non hanno nulla di illecito, qualche problema all’immagine della Santa Sede continuano a causarlo. Così che le tempeste passate non lasciano splendere il sole sui due vicini colli romani: Gianicolo e Vaticano.

L’ACCUSA: 91 MILIONI DI EURO DI FONDI PUBBLICI PER IL BAMBINO GESU’ FINITI IN INVESTIMENTI FINANZIARI

Non bastava il maxi conto pagato per la ristrutturazione dell’appartamento del cardinale Tarcisio Bertone. Questa volta l’ospedale Bambino Gesù torna a far parlare di sé per fondi pubblici che, secondo la Procura di Roma, dovevano servire per la ricerca e l’attività sanitaria a favore dei piccoli pazienti e, invece, tramite l’amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa) avrebbero preso la strada di operazioni finanziarie. E’ quanto emerge dalle carte dell’inchiesta sullo Ior coordinata dal pm Stefano Rocco Fava e condotta dagli investigatori delle Fiamme gialle. Si tratterebbe di una “attività abusiva di investimento finanziario” compiuta dall’Apsa per oltre 117 milioni a favore di varie istituzioni vaticane, dei quali 91 milioni provenienti da fondi pubblici italiani per l’attività dell’ospedale pediatrico e girati alla banca centrale del Vaticano per presunti investimenti. L’indagine si è chiusa, per fatti che risalgono al 2013. I protagonisti sono ormai tutti usciti dalla scena vaticana. Tutti tranne uno. Nei fascicoli si fanno i nomi di Paolo Mennini, che si occupava degli investimenti in titoli e obbligazioni per conto di Apsa come suo delegato alla sezione straordinaria (in pensione da fine 2013), e di Massimo Spina (ex tesoriere del Bambino Gesù). Ma tra le telefonate intercettate dagli inquirenti compare anche la “voce” del cardinale Domenico Calcagno, unico protagonista della vicenda tuttora in pista – allora come oggi alla guida dell’Apsa – che avrebbe benedetto le operazioni finanziarie. Di questi tempi in Vaticano non una bella presentazione per “monsignor Rambo” – come lo dipingono le definizioni giornalistiche per la sua passione per la caccia e le armi – che è attualmente indagato a Savona per malversazione in relazione alle operazioni immobiliari condotte dall’Istituto per il sostentamento del clero locale al tempo in cui era vescovo della città.

Che significative somme non fossero immediatamente spese per le attività del Bambino Gesù lo evidenziava già un rapporto della disciolta Cosea (la commissione di studio sui dipartimenti economici della Santa Sede voluta da Francesco e in attività per appena dieci mesi) come è emerso dai documenti trapelati ai tempi di Vatileaks 2. Lo racconta Emiliano Fittipaldi nel suo libro Avarizia: secondo quel rapporto l’ospedale di piazza Sant’Onofrio, al Gianicolo, ha investito tra l’altro in azioni della multinazionale del petrolio Exxon, come in titoli della Pepsi e di Baxter. Un patrimonio complessivo che il giornalista de l’Espresso calcolava in 427 milioni di euro (dati 2013). Un tesoro amministrato da Ior e Apsa. Quel che emerge oggi nelle carte della Guardia di finanza consegnate in procura è che parte di quei denari – i 91 milioni di euro – provenienti da regione Lazio e servizio sanitario nazionale per l’attività di cura e ricerca dell’ospedale, tre anni fa abbiano poi imboccato altre strade.

DUE MANAGER SOTTO IL TETTO. LE INDAGINI DEL VATICANO PER L’ATTICO DI BERTONE

Anche il Vaticano vuole vedere chiaro sulla passata gestione economica del “suo” Bambino Gesù, ospedale di eccellenza, fondato nel 1869 per assistere i bambini, specialmente i più poveri. Ad attirare l’attenzione delle autorità della Santa Sede è la ristrutturazione dell’attico del cardinale Tarcisio Bertone. Un restyling che è venuto a costare parecchio: 422mila euro sarebbero stati fatturati dalla fondazione del Bambino Gesù a una holding britannica riconducibile alla società italiana che ha effettuato materialmente il restauro. A sua volta il cardinale ha saldato di tasca propria fatture per la stessa ristrutturazione: 300mila euro versati al Governatorato del Vaticano – proprietario dell’immobile a pochi metri da Casa Santa Marta, residenza del pontefice. Lavori pagati due volte? Bertone a dicembre ha infine deciso di devolvere all’ospedale 150mila euro, pur precisando di farlo come donazione volontaria e non come risarcimento per una vicenda di cui si è sempre detto estraneo. Difatti non è indagato nel procedimento aperto dalla magistratura dello Stato pontificio, che ha aperto un’inchiesta per peculato, appropriazione e uso illecito di denaro. Allo studio ci sono le posizioni sia dell’ex presidente dell’ospedale, Giuseppe Profiti, che dell’ex tesoriere, Massimo Spina.

UN’IMMAGINE DA RICOSTRUIRE

Mentre si lavora perché l’ospedale pediatrico sia “sempre più opera di carità”, come ha detto l’attuale presidente, Mariella Enoc, dopo un’udienza con Francesco a inizio settembre – dal quale, assicura, ha ricevuto “sostegno e promessa di un aiuto personale, anche economico” – quanto emerge dall’inchiesta della Procura romana rischia di danneggiare ulteriormente l’immagine del Bambino Gesù. Immagine – riconosce Enoc – già fortemente provata dai numerosi riferimenti nella vicenda Vatileaks. Anche ma non solo per la ristrutturazione dell’attico bertoniano, una spesa la cui bontà l’ex numero uno Profiti comunque rivendica. Finanziare i lavori era giusto: l’appartamento a palazzo San Carlo serviva per le pubbliche relazioni, avere Bertone come testimonial “ha portato un incremento della raccolta fondi di oltre il 70 per cento in un anno, da 3 milioni nel 2013 a 5 milioni nel 2014”.

ECONOMIA E FINANZA. TRA RAMBI E CANGURI NON CI SI RIMETTE LA PELLE

Quanto emerge dall’inchiesta della procura di Roma non può non fornire altra paglia all’incendio delle polemiche interne al Vaticano seguite al disegno di Francesco sulle istituzioni finanziarie cominciato nel 2013 (con la Cosea) e poi, l’anno seguente, con l’istituzione della Segreteria per l’economia (Spe), affidata dal Papa al cardinale australiano George Pell. Inizialmente doveva essere un super-ministero guidato dal combattivo “monsignor canguro”, già arcivescovo di Melbourne.

Una narrazione diffusa ha raccontato di una guerra aperta in questi ultimi due anni combattuta tra due partiti: quello di Pell e quello della vecchia curia romana. A confermare questa lettura c’è la sospensione in primavera da parte della Segreteria di Stato del contratto con la società di revisione PwC; una consulenza voluta da Pell per controllare conti e bilanci dei dicasteri vaticani. Pell, dicevano dalla terza loggia, neppure aveva il potere di firma per stipulare quell’accordo con la società di revisione bilanci e consulenza fiscale. Uno schiaffo all’australiano servito urbi et orbi. Il contratto è comunque stato rinegoziato dal Vaticano in giugno, anche se è stato scippato il ruolo del porporato a favore dei singoli dicasteri e del revisore generale interno. Nella trattativa ha avuto un gran peso – riferisce Andrea Tornielli, Vatican Insider – il cardinale tedesco Reinhard Marx. Quello che non ha mai digerito la posizione conservatrice del collega Pell durante il Sinodo sulla famiglia.

Il braccio di ferro Curia-Pell sembra essersi risolto lo scorso luglio a favore della prima, con il ridimensionamento dei compiti attribuiti in un primo momento alla sua Segreteria, che ora dovrà soprattutto vigilare e controllare su conti e operazioni economico-finanziarie. La Spe era stata presentata nel 2014 come il super-ministero economico vaticano. Oggi si trova dimagrita nelle sue competenze. A leggere la vicenda come una guerra di rapporti di forza interni ai sacri palazzi, è una vittoria del partito degli italiani e della “vecchia” curia.

Ma è proprio così? E’ vero che l’Apsa riprende il controllo diretto su una gamma di settori che gli erano stati inizialmente sottratti. Ma – evidenzia John Allen sull’americano Crux – la prossima volta che qualcosa andrà storto, non potrà esserne incolpato il, per un po’, plenipotenziario Pell, che al massimo potrà essere accusato di mancata vigilanza. Qualsiasi futuro scandalo finanziario vaticano avrà una ripartizione di responsabilità. E quelle sostanziali riporteranno ancora una volta sempre lì, negli uffici dell’Apsa diretta da monsignor Rambo, il cardinale Calcagno. Lo stesso che nel 2013 – secondo quanto riferito dalla finanza alla procura di Roma – non si sarebbe opposto agli investimenti finanziari per far fruttificare i talenti dei fondi pubblici italiani destinati al Bambino Gesù.

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