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Perché la Bce di Draghi non può alzare i tassi

MARIO DRAGHI BCE

La scorsa settimana sono stato in Canada e sulla East Coast statunitense. La maggior parte degli investitori negli Stati Uniti è ottimista sull’economia mondiale e scommettono ancora sul tema della reflazione. Tuttavia, preferiscono investire nei mercati emergenti piuttosto che nel continente europeo dove le bucce di banana sul piano politico e la debolezza del sistema bancario continuano a preoccupare. Dall’altro lato, invece, la relativa stabilità dei prezzi delle commodity e dei mercati FX rappresenta dei fattori positivi per le economie emergenti. Il principale rischio nel breve termine per questi mercati è una vittoria di Trump. Dalle discussioni che ho avuto con gli investitori statunitensi, non c’è un ampio consenso in merito al risultato delle elezioni presidenziali.

Come in Europa, negli Stati Uniti c’è un forte contrasto tra il pessimismo d’inizio anno e l’ottimismo corrente. In linea con le nostre attese, il rimbalzo dell’indicatore ISM per il manifatturiero e il rialzo di quello non manifatturiero di questa settimana hanno rafforzato la tesi di una reflazione alla fine del ciclo dopo un debole inizio 2016. Questi rialzi sono coerenti con la crescita registrata dai nostri indicatori sul commercio globale di questa settimana. In merito alla Cina, invece, nessuno sembra più preoccuparsi per il deprezzamento del Renminbi mentre all’inizio dell’anno gli orsi si aspettavano un collasso dell’economia cinese.

Così, anche se pensiamo che il consensus continuerà a essere sorpreso da dati economici migliori delle attese fino alla fine dell’anno, il nostro scenario più conservativo, dove prevediamo una recessione dell’economia statunitense, genera un certo scetticismo. Molti credono che il ciclo economico in corso sia unico e potrebbe prolungarsi per molti anni considerata la prudenza delle banche centrali. Tuttavia, i dati non sembrano sostenibili nei prossimi due anni se consideriamo l’aggressivo leveraging delle società statunitensi, il debole aumento della produttività e il costante calo della profittabilità societaria.

L’altro grande argomento tra gli investitori è stato il rumour circolato su Bloomberg per cui la BCE starebbe considerando l’idea di ridurre il programma di acquisto titoli. L’attendibilità dell’articolo è molto discutibile a mio parere. Sono rimasto ugualmente sorpreso dal fatto che pochi hanno prestato attenzione alla dichiarazione del governatore della Banca d’Italia; Ignazio Visco ha dichiarato che “è comprensibile aspettarsi che presto l’inflazione supererà la soglia-obiettivo del 2%” poiché l’inflazione è rimasta al di sotto del 2% per tanto tempo. Inoltre, ha aggiunto che il programma QE della BCE “non finirà a marzo 2017”. Nonostante ciò, gli investitori si sono dimostrati maggiormente sensibili alle notizie sul possibile tapering: di conseguenza, si è verificato a un sell-off sui mercati obbligazionari.

Anche se, come abbiamo sottolineato diverse volte, il ritmo corrente del QE in Europa è insostenibile nel lungo termine, dubito che la BCE adotterà questa strategia per alzare i tassi. Penso piuttosto che questa sensibilità degli investitori al possibile tapering derivi da un’attesa per la fine del secolare momento rialzista del mercato obbligazionario alla fine del ciclo statunitense. Infatti, il passaggio alla strategia yield-target è al momento la migliore opzione a disposizione della BCE al fine di mantenere i tassi bassi e prevenire un eccessivo gonfiamento del bilancio della BCE. In altre parole, sarebbe meglio calibrare il QE a un ritmo più lento per rendere il programma più sostenibile e mantenere l’attuale livello basso dei tassi nel prossimo decennio.

Per concludere, sono stato invitato dalla mia amica Natacha Valla a un’interessantissima conferenza Suerf a New York. Peter Praet, membro esecutivo della BCE, ha evidenziato che la banca centrale europea possiede circa il 14% del debito pubblico dell’eurozona, un livello ancora inferiore rispetto a quello della Fed o della BoJ: per questo motivo, c’è ancora spazio per effettuare maggiori acquisti in futuro. L’economista ha avuto un tono severo in merito alle banche, affermando che una maggiore inclinazione della curva dei rendimenti non è la giusta soluzione. A suo parere, le banche dovrebbero procedere a un netto taglio dei costi, ridurre la sovraccapacità e risolvere il problema dei Non Performing Loans per restaurare la loro profittabilità e la fiducia nel sistema bancario dell’eurozona in generale.

Inoltre, c’era molto consenso sull’idea che in Europa manchino istituzioni forti a differenza degli Stati Uniti. Infatti, il PIL pro capite è cresciuto in misura simile negli Stati Uniti e in Europa prima della crisi. In seguito, invece, in Europa è stata molto più lenta poiché l’assenza di istituzioni solide non ha permesso di definire una risposta veloce ed efficace. Per questo motivo, la vittoria di Trump non sarebbe così negativa per gli Stati Uniti come lo sono per l’Europa i rischi politici, rafforzati dalla crisi dei migranti. La storia insegna che le società che si chiudono tendono a regredire dal punto di vista economico. Per questo motivo, il processo di balcanizzazione del continente europeo attraverso il Brexit e la diffusione del populismo nell’Eurozona non fornisce segnali rassicuranti per il futuro economico dell’Europa.

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