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Mario Monti, Guglielmo Giannini e Immanuel Kant

Mario Monti

Mario Monti (Corriere della Sera di oggi) voterà No il 4 dicembre non tanto perché la riforma costituzionale non lo convince, quanto perché non gli piace la finanza allegra del governo Renzi (“Non posso legittimare un modo di generare consenso basato su elargizioni”). Dopo quello con l’Italicum, esordisce così ufficialmente un secondo “combinato disposto”. E, come è noto, siccome non c’è due senza tre, siamo in attesa del terzo.

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Sono trascorsi settantadue anni da quando Guglielmo Giannini fondò la rivista “L’Uomo Qualunque”, a cui si deve la nascita di un termine che ancora oggi sta a indicare il disprezzo generale per la politica e per i politici, giudicati avidi, corrotti e quindi nemici del popolo. Antenato nobile del grillismo e del salvinismo, il qualunquismo è stato definito da Silvio Lanaro (“Storia dell’Italia repubblicana”, Marsilio, 1993) “come disponibilità a cogliere tutte le occasioni, come supremazia dei ghiribizzi del gusto sui sudori dell’intelletto, come libertà di pensiero disancorata da categorie culturali troppo impegnative ed esigenti, come indisciplina sociale screanzata e popolaresca, come assimilazione delle fandonie del passato alle frottole del presente, come nostalgia di un senso comune spazzato via dall’invadenza delle visioni del mondo”.

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La demagogia in Italia è ormai una merce che chiunque può acquistare a prezzi stracciati nei mercatini rionali della Rete. Vi imperversano nugoli di novelli Savonarola, moltitudini di affamati d’etica che gridano “Onestà, Onestà!”. Essi però non sanno, o fanno finta di non sapere, che il principio di legalità è moralmente neutrale. Perché, ammoniva un filosofo che di etica forse se ne intendeva più di loro, lo Stato “non può esigere l’integrità morale dei cittadini, ma unicamente la loro lealtà”. Quel filosofo si chiama Immanuel Kant.

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Se uno scienziato ammettesse in pubblico di non conoscere Dante o Leopardi, farebbe (giustamente) una figuraccia. Se invece un letterato ammettesse di non conoscere Einstein o Heisenberg, forse verrebbe (ingiustamente) scusato. Con ogni probabilità perché la maggioranza di quel pubblico ignora completamente la teoria della relatività o il principio di indeterminazione. Del resto, salvo rare eccezioni nelle nostre scuole si studia ancora la fisica di fine Ottocento. Infatti, molti dei nostri ragazzi non sanno che i tablet e gli smartphone di cui sono consumatori compulsivi derivano da applicazioni della meccanica quantistica. Nonostante ciò, abbiamo migliaia di star della ricerca scientifica che lavorano nei laboratori e nelle università di ogni angolo del pianeta. Poche in Italia, appunto, la maggioranza all’estero. In ogni caso, il fenomeno ha un che di miracoloso.

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Kurt Gödel, il più grande logico di tutti i tempi insieme ad Aristotele, Gottfried Leibniz, David Hilbert e Alan Turing, credeva negli spiriti (Pierre Cassou-Noguès, “I demoni di Gödel”, Bruno Mondadori, 2008). Si parva licet, allora anch’io posso credere nei fantasmi della Prima Repubblica che aleggiano nella campagna referendaria.

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