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Che cosa significano le piroette del Financial Times su Matteo Renzi e il referendum

Tony Barber si schiera per il no al referendum costituzionale. So what? si direbbe in inglese che si traduce “e allora”, ma vuol dire “chi se ne….”. Il giornalista non è il Financial Times anche se è stato corrispondente dall’Italia ed è responsabile delle questioni europee, dunque un professionista preparato e autorevole, in ogni caso non quanto Gustavo Zagrebelsky. Il fatto è che lavora nella sentinella della City dove ogni giorno si gioca a dadi con i Btp italiani e soltanto un anno fa aveva considerato Matteo Renzi “l’ultima speranza per l’Italia”. Dunque, ha cambiato idea e con lui il giornale sul quale scrive più il blocco di interessi e di opinione che rappresenta? E’ questa la domanda più rilevante, al di là degli argomenti sensati di Barber contro il ponte sullo Stretto di Messina e contro la necessità di meno leggi, ma migliori.

Definire le riforme costituzionali “un ponte verso il nulla” è una affermazione forte quanto debole e superficiale è l’analisi sul ruolo del Senato e sul bicameralismo. Ma ciascuno può avere la sua opinione che è legittima anche quando poco fondata. Quel che interessa è capire se questa volta un po’ di dietrologia “c’azzecca”.

Le tesi di Barber non c’entrano nulla con la critica che la Banca d’Italia ha rivolto alle prospettive economiche delineate dall’aggiornamento del Def. Tanto meno con le previsioni del Fondo monetario internazionale (anch’esse meno ottimiste di quelle presentate da Pier Carlo Padoan). Tuttavia mettendo insieme uno più uno più uno, vien fuori l’immagine di un governo che ha perso credibilità. Il Financial Times non crede più all’effetto salvifico della nuova legge costituzionale. La Banca d’Italia dubita che l’anno prossimo l’economia crescerà all’uno per cento. Il Fmi butta là un’altra doccia fredda. Renzi dovrebbe prendere sul serio questi segnali e riflettere sul fatto che promettere, promettere, promettere non tira più. Tanto meno imbellettare la realtà.

Spingendo un po’ più lontano il nostro esercizio dietrologico, possiamo arrivare alla conclusione che sia all’estero sia (forse soprattutto) in Italia sono cominciate le grandi manovre per il piano B. Che succede se al referendum vince il no? Davvero ci sarà un cataclisma? Se l’inevitabile fase di instabilità e turbolenza finanziaria davvero portasse a una replica dell’autunno 2011 che cosa accadrebbe? La risposta più ovvia l’ha data la stessa Maria Elena Boschi: toccherà al presidente della Repubblica sbrogliare la matassa. Come non si sa, ma tutto suggerisce che Mattarella vuole evitare elezioni anticipate. Un Renzi bis con rimpasto? Se ne parla come ipotesi di scuola. Un altro Monti? E chi? Non Draghi che non si muove se non per il Quirinale. Forse Romano Prodi? Per la terza volta? Certo rassicurerebbe l’Europa, forse anche i mercati, ma sconvolgerebbe gli equilibri politici e non solo nel Pd.

E’ una voce dal sen fuggita. Tuttavia ci sono altri segnali da tener conto, movimenti ben percettibili nei poteri economici, a cominciare dalle banche, come ha scritto ieri Formiche.net in un articolo di Bruno Guarini e Fernando Pineda. Il Foglio, con un articolo di Alberto Brambilla, mette insieme i fatti e fa emergere, dietro il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, una nuova fase dello scontro tra il mondo che ruota attorno a Intesa Sanpaolo e quello che fa riferimento a Mediobanca. Nel primo c’è Giuseppe Guzzetti con la Fondazione Cariplo che ci conduce a Quaestio e ad Atlante, ma c’è anche il Corriere della Sera conquistato da Urbano Cairo proprio grazie a Intesa. L’altro porta alla JPMorgan rappresentata in Italia e in Europa da Vittorio Grilli, alleata con la banca d’affari di piazzetta Cuccia. Dunque, Alberto Nagel sconfitto nella battaglia per Rcs medita rivincita insieme a Grilli? O siamo al riproporsi dell’eterna tenzone tra finanza cattolica e laica? Nell’un caso e nell’altro arriveremmo dritti dritti alla partita che si gioca dopo il referendum. Con l’ex direttore Ferruccio de Bortoli (che non ha mai nascosto il suo no al referendum), il Corsera ha difeso Atlante dalle rapaci grinfie della finanza americana appoggiata (o forse sollecitata?) da Renzi. Un altro pezzo del mosaico. Certo, dal Financial Times al Montepaschi e da Prodi a JPMorgan, stiamo facendo un bel volo pindarico. Ma a pensar male talvolta ci si azzecca.

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