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Cosa si è detto al workshop sulla riforma della dirigenza pubblica

Il 4 ottobre si è tenuto un workshop sullo schema di Decreto Legislativo inoltrato dal Governo al Parlamento il 26 agosto scorso, schema messo a punto sulla base dell’art. 11 della legge Delega n. 124 del 2015. Il workshop è stato organizzato dal “Cesare Alfieri” di Firenze, da ForumPA con la collaborazione di Formiche. Al workshop hanno partecipato un panel limitato di invitati, esperti e alti dirigenti della nostra PA, sia centrale che delle Autonomie locali.

La discussione si è sviluppata su di un livello puramente tecnico. Il moderatore (il dr. Carlo Mochi Sismondi ForumPa) si è fatto carico di riassumere i suggerimenti tecnici emersi durante il workshop per metterli a disposizione del legislatore nella speranza di aiutarlo a migliorare la norma in corso di approvazione.

Ho avuto l’onore di far parte del panel. Qui mi propongo di fare alcune considerazioni di tipo generale suggeritemi dalla esperienza maturata fuori d’Italia, senza voler entrare nei dettagli tecnici. Mi soffermerò su due aspetti della riforma: il primo riguarda il fatto che la riforma si propone di forzare la rotazione dei dirigenti ad evitare che l’ufficio di cui sono titolari si identifichi nella persona del titolare stesso, il secondo riguarda la valutazione.

Si tratta di due sani principi con cui non si può non essere d’accordo. Qui mi corre l’obbligo di segnalare che le soluzioni proposte denotano un vero e proprio ritardo culturale. Vediamo i due aspetti separatamente.

Far ruotare i dirigenti comporta avere dei dirigenti che non siano specialisti in un settore specifico ma siano piuttosto specializzati nel difficile compito di dirigere strutture pubbliche. Se si riuscisse a realizzare questo cambiamento si sarebbe fatto un vero e proprio salto di qualità. Orbene temo che il desiderio potrebbe essere vanificato dalle modalità messe in campo per realizzarlo. All’art. 4 si fa pericolosamente riferimento ai cercatori, magistrati, docenti universitari come potenziali dirigenti. Sembra qui emergere in superficie l’idea latente secondo cui il dirigente è un “sapiente”, un saggio. La scelta del dirigente cui affidare l’incarico di un ufficio dirigenziale sembra dover avvenire secondo modalità di tipo scolastico privando la catena gerarchica del potere (e della conseguente responsabilità) di scegliersi, tra i vincitori di concorso quelli che si ritengono più in linea con la propria filosofia gestionale.

Questa concezione riemerge in superficie anche quando si tocca il tema della valutazione. La valutazione viene affidata a gruppi di esperti esterni alla catena gerarchica, come se fosse possibile valutare scientificamente la capacità manageriale, per non parlare del fatto che espurgare la valutazione dalla catena gerarchica significa delegittimare il superiore gerarchico nei confronti del subordinato privando il primo di un irrinunciabile strumento di indirizzo nei confronti del secondo. La valutazione richiede la volontà di assegnare a cascata (dal vertice politico giù giù attraverso i dirigenti ed i funzionari) gli obiettivi all’inizio dell’anno e non, come avviene ora, a metà anno se non addirittura oltre, spesso dopo le vacanze estive. Su questo aspetto la normativa proposta tace. Per non parlare del fatto che il dirigente, per poter essere valutato, ha bisogno, non solo di avere obiettivi chiari e misurabili all’inizio dell’anno, ma anche la disponibilità di risorse. Per poter realizzare questa precondizione irrinunciabile è indispensabile attivare la contabilità per missioni così come previsto dal Dlgs 91 del 2011.

Nessun cenno viene fatto al modello organizzativo della nostra amministrazione, modello oggi caratterizzato dalla assenza di processi codificati per cui i nostri dirigenti sono chiamati a firmare ogni singolo atto a valenza esterna e non hanno la possibilità di governare la macchina amministrativa attraverso la creazione, modifica e monitoraggio di processi.

Lo schema di decreto legislativo attualmente in discussione alle Camere rappresenta una tappa, lodevole ma solo una tappa, nel difficile processo di modernizzazione della nostra cultura amministrativa.

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