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Cosa si è detto su Siria e Medio-Oriente al Pontificio istituto orientale di Roma

“Ogni altura e monte dell’idolatria umana, il mercato, il profitto anche a prezzo del sangue degli innocenti, siano abbattute e vi siano riformate strade per il ritorno a casa, per l’incontro tra i popoli per celebrare il culto in spirito e verità”. Così il Card. Leonardo Sandri (nella foto), Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha aperto l’ultima giornata – dal tema “Futuro profetico. Segni di speranza” – di conferenze internazionali sulla Siria e sul Medio-oriente, intitolata “Damasco, prisma di speranza”, e organizzata al Pontificio istituto orientale di Roma per celebrarne i 100 anni.

LE PAROLE DEL CARDINALE SANDRI

“Come affermava nel 2010 il Metropolita di Aleppo Mar Gregorios Ibrahim il nemico più pericoloso è l’ignoranza che domina il discorso religioso. Che la chiesa cristiana promuova il pensiero illuminato e si affidi ai moderati: siamo convinti che il valore di queste affermazioni non si sia spento con il rapimento avvenuto nell’aprile 2013 assieme al fratello greco ortodosso Boulos Yazigi. La voce risuonata in questo convegno è anche la loro”.

Alle conferenze hanno partecipato leader religiosi – in particolare della Chiese orientali – esperti di cooperazione internazionale in Medio-Oriente: Iraq, Egitto, Siria, dove il conflitto ormai dura da quasi 6 anni.
“Come si combatte quest’ignoranza?” Si è domandato il cardinale: “Attraverso la continua riscoperta del volto dell’altro”. Il desiderio è infatti quello di “compiere l’esperienza di un pellegrinaggio alle sorgenti del pensiero teologico, spirituale, liturgico e disciplinare dell’Oriente cristiano”. Dove si ritrovano “le tracce di passi possibili verso l’unità visibile di tutti i cristiani”. Sapendo che questa, in Siria, è originata “non dalle dichiarazioni di eventi ecumenici, ma dal sangue sparso di tanti discepoli di Cristo accanto a quelli di tanti altri fratelli e sorelle di umanità”. “Confrontarsi, studiare e approfondire diventa una risposta luminosa al velo di tenebra di ideologie che non tollerano sia possibile la convivenza e uno stato che usi laicità positiva”, ha concluso Sandri. “I seguaci di tale ideologie sono tutti uomini che attingono a cisterne screpolate, per usare un’immagine del profeta Geremia, abbeverandosi ad acque che sembra vogliamo cancellare la memoria del bene e di un’esistenza pacifica”.

“I SEGNI DI PACE SONO VISIBILI TRA I PICCOLI”, DICE L’EX CUSTODE DI TERRA SANTA MONS. PIZZABALLA

“Come parlare però di speranza in un contesto cosi difficile?”, ha chiesto Mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico di Gerusalemme dei latini e, fino al maggio scorso, custode di Terra Santa. “La speranza cristiana è un atteggiamento, un modo di vedere la realtà che diventa testimonianza caritativa. Non si deve partire dai problemi ma dalla propria fede o convinzione”. Nonostante il dramma infatti, afferma Pizzaballa, “è possibile vederne segni dentro il territorio, tra i semplici, i poveri, i piccoli, e tra la popolazione. La comunità cristiana è tra le più accoglienti e non c’è comunità in tutta la Giordania che non ha uno spazio per l’accoglienza dei profughi”. Questo, prosegue Pizzaballa, “non è il momento dei grandi gesti, di qualcosa di grande che cambi il corso degli eventi, ma è quello dei piccoli gesti, sul territorio”. Considerato che “quella che chiamiamo Terra Santa sembra senza speranza, non si vede più la fine del conflitto né prospettive a breve termine: Israele si vede spostarsi sempre più a destra, sempre più riluttante non solo a nuove concessioni ma anche a quelle già date, e dall’altra parte la società palestinese è a sua volta divisa, dove da anni non riesce a fare le elezioni, anche a causa delle divisioni interne e della mancanza di una leadership autorevole sul territorio. Questo crea una grande sfiducia nel futuro”. Anche in Terra Santa infatti “crescono i fondamentalismi”, prosegue l’ex custode di Terra Santa, “non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania e Israele. Non sono fenomeni episodici di gruppi isolati ma rientrano dentro un percorso ideologico sempre più presente, anche dentro l’Israele religioso, che ha di mira le moschee ma anche le chiese, con incendi e attentati”. C’è quindi un problema di identità, secondo Pizzaballa: “In Terra Santa bisogna dire siamo israeliani ma non ebrei, arabi ma non musulmani. Un cristiano per dire chi è deve dire cosa non è”.

QUALE FUTURO PER LA CHIESA IN MEDIO ORIENTE

“I cristiani sono parte integrante del Medio-Oriente e hanno un ruolo fondamentale nel ridefinire il rapporto tra cittadinanza e religione, dove l’appartenenza religiosa è l’elemento determinante nella definizione di identità. Non vogliamo protezione ma diritti: non è più tempo di difendere i cristiani, dobbiamo chiedere diritti di cittadinanza pieni, senza distinzione e dobbiamo partire dalla realtà concreta e non dalla teologia, dai bisogni comuni e dalla comune umanità”. Gerusalemme è “Chiesa locale e universale allo stesso tempo, come nella visione degli Apostoli della Pentecoste: tutti erano lì e tutti si comprendevano, poi la Chiesa si è divisa. La Terra Santa è l’ottavo sacramento perché ci permette di fare esperienza di Gesù è il cuore della fede di miliardi di cristiani in tutto il mondo”. La stessa Bibbia “ci ricorda di leggere I segni dei tempi”, afferma poi il Catholicos della Grande Casa di Cilicia Aram I: “È il ruolo profetico della chiesa. La storia della religione nel medio oriente è segnata da pacifica convivenza e conflitti e tensione”. Perché i cristiani, rimarca in seguito Gregorios III Laham, della Chiesa Patriarcale dei Greco Melkiti, non sono “un museo, ma dobbiamo diventare attivi nella società per rendere la chiesa viva e credibile. Noi cristiani, a differenza di ebrei e musulmani, abbiamo una visione sbiadita di Gerusalemme, considerato come luogo di sola liturgia”. Mentre “Damasco è la città simbolo di un conflitto esteso a tutto il Medio-Oriente: la storia ha congiunto la via di Gerusalemme con quella di Damasco e oggi la pace in Siria è la pace nel mondo intero”.

COSA HA SCRITTO IL GRANDE IMAM DI AL-AZHAR

Anche il Grande Imam di al-Azhar, in un messaggio, afferma la necessità di “!insistere su principi e valori sui quali siamo tutti d’accordo e che tutti gli esseri umani dovranno accogliere”. I cristiani fanno parte di noi, e noi di loro, siamo un solo corpo, inseparabile. Sapete quante volte Gesù viene menzionato nel Corano? 56. Dunque i cristiani in generale e Gesù in particolare hanno una presenza forte nel libro dell’Islam. Le relazioni tra Islam e cristianesimo risalgono fin dai primi tempi”, ha proseguito. “I cristiani dell’oriente hanno contribuito alla fondazione e alla civilizzazione degli arabi musulmani tanto in oriente quanto in occidente, tra il nono e l’undicesimo secolo. Hanno partecipato nella guerra e nella lotta dell’indipendenza araba, insieme ai musulmani. Questa memoria comune può costituire un punto di ripartenza verso un avvenire che riunisce tutte le componenti dell’Oriente, in un quadro di una molteplicità arricchente, per lottare contro il terrorismo e l’estremismo violento, in tutte le sue forme. Noi dobbiamo costruire insieme un avvenire di pace e rispetto della diversità in seno all’unità”, ha proseguito l’Imam. Perciò, “chiamiamo oggi il nostro popolo cristiano a restare radicato nei loro paesi di origine fino a che non sia passata questa onda di estremismo, e chiamiamo tutti a collaborare per la soluzione della migrazione: i cristiani non devono scappare ma restare nei loro paesi”. Sul piano mondiale, ha proseguito, “al Azhar ha creato il Consiglio dei saggi musulmani, con l’obiettivo di promuovere la cultura della pace in tutto il mondo. E tra l’anno scorso e quest’anno sono stati fatti più o meno venti incontri in tutti i paesi del mondo, in Francia, in Italia, con le chiese, con la Comunità di Sant’Egidio (qui l’articolo di Formiche.net), per provare a promuovere la cultura della paese. Per creare società sicure radicate nel dialogo nel rispetto della pace. Che la pace regni in tutto il mondo, e che il vivere insieme sia il nostro slogan per vivere insieme”.

LE PAROLE DEL GRAN MUFTI DELLA REPUBBLICA ARABA SIRIANA

Anche il Gran Mufti della Repubblica Araba Siriana, Ahmad Badreddin Hassoun, ha unito la sua voce “per interrogarci su come lasciare che le Chiese orientali rimangano nel paese e non lo lascino. Nella terra benedetta di Damasco san Paolo ha avuto la rivelazione di Dio e quando vado a trovare i miei amici patriarchi cammino proprio sui suoi passi. Ma ciò che ha colpito la nostra amata patria negli ultimi 6 anni ha fatto sì che molti hanno dovuto emigrare. Oggi sta avvenendo in Siria una guerra santa, ma come detto dal Papa non esiste la guerra santa: Santa è solo la pace”.

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